Raqqa, lapidata dal figlio jihadista: l’ultimo crimine dei tagliagole dell’Isis

8 Gen 2016 19:22 - di Redazione

Lapidata a morte dal figlio jihadista. Accade a Raqqua. Ed è questo, in ordine di tempo, l’ultimo crimine denunciato da attivisti anti-Isis di Raqqa, la città nel nord della Siria controllata dalle milizie di Al Baghdadi e quasi costantemente sotto il fuoco dei bombardamenti aerei russi e della coalizione guidata dagli Stati Uniti. La denuncia arriva dal gruppo ‘Raqqa viene massacrata in silenzio‘, che negli ultimi mesi ha acquisito ampia visibilità nei media occidentali anche perché l’Isis ha ucciso in poche settimane alcuni dei suoi membri fuori e dentro la Siria. Secondo il gruppo, Lina Qassem, 35 anni, è stata lapidata a morte nel centro cittadino di fronte alla sede degli uffici postali dal primogenito ventenne Ali. Il luogo non è casuale: la donna era impiegata alle poste. Inizialmente si era detto che la donna era stata lapidata perché riconosciuta colpevole di spiare per conto della coalizione anti-Isis a guida Usa. Successivamente, gli attivisti hanno riferito che l’accusa formale è di apostasia, di aver rinnegato l’Islam. Racconti parlano di una “furiosa discussione” tra la donna e il figlio, con la madre che avrebbe chiesto al ragazzo di lasciare l’Isis accusando il movimento jihadista di non seguire il vero Islam. Potrebbe essere questo il motivo per cui la donna è stata considerata apostata e perciò lapidata. Altre fonti affermano che è stata uccisa perché alawita, la branca dello sciismo a cui appartengono i clan al potere in Siria da circa mezzo secolo. Secondo questa versione, Lina Qassem non era originaria di Raqqa – città a maggioranza sunnita – bensì veniva da Jabla, roccaforte alawita sulla costa mediterranea. In ogni caso Raqqa da giorni respira un’aria di fortissima tensione. In due giorni raid russi hanno fatto morti e feriti anche tra i civili. E le milizie curde tentano di avanzare da nord, nel distretto di Ayn Issa, sostenute con armi e bombardamenti aerei dagli Stati Uniti. Gli stessi attivisti che in città hanno denunciato il crimine della donna lapidata dal figlio e che tentano di monitorare le violazioni commesse dai jihadisti sono spesso indicati come “spie” degli americani. Nelle settimane scorse a Manbij, cittadina oltre l’Eufrate controllata dall’Isis, si sono svolte inedite manifestazioni popolari contro la decisione dei jihadisti di inviare ragazzi al fronte. A Manbij come altrove l’Isis teme una rivolta popolare sull’onda dei successi militari dei curdi. E’ in questo clima che nei giorni scorsi Raqqa ha perso, giustiziata dall’Isis, una giovane media-attivista, una delle poche donne a tentare di lavorare come reporter clandestina in città ma messa a tacere per sempre dai jihadisti.

 

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