“Sono la persona giusta per Milano”. Ecco Sala, un campione di opacità

16 Gen 2016 17:04 - di Mauro Achille

Nel giorno dell’incoronazione, come candidato Sindaco di Milano, Giuseppe Sala offre il meglio di sé. Quanto ad autostima, tendenza ad autoincensarsi e complesso di superiorità, il manager che ha gestito l’Expo 2015 mentre i suoi collaboratori venivano arrestati non ha eguali. Sala si sente una specie di Superman. Un portento. Un uomo dotato di poteri straordinari. E, in effetti, li ha avuti eccome i poteri straordinari per gestire l’Expo. Abbina ad una falsa modestia (“Non penso di avere la soluzione per ogni problema”) una straordinaria considerazione di se stesso (“Penso di essere la persona giusta… la  miglior garanzia per vincere dopo”). Il suo esordio politico al teatro Strehler non è di quelli che possano entusiasmare ed esaltare le masse. Nè ci pare, con tutta franchezza, che le doti di supermanager, di cui si favoleggia a sinistra e si trova persino a destra qualche sirena compiacente, siano, alla prova dei fatti, così massicce e inattaccabili. Matteo Renzi, come si sa, lo ha sponsorizzato e lanciato nell’agone politico, dopo i “successi” dell’Expo. Una favola bella e buona, raccontata con impareggiabile maestria. Passi per la goffaggine con cui il supermanager, nei primi mesi dell’evento, ha raccontato balle sugli ingressi e nascosto il numero dei visitatori, tanta era bassa l’affluenza rispetto alle attese. Quel che non può essere archiviato, visto che ora di questa icona manageriale si vuol fare il sindaco di Milano, è che questo signore dai modi eleganti e dalla sguardo indecifrabile ha agito nel pieno di un sistema derogatorio andando, in molti casi, anche oltre.

Le criticità sull’operato di Sala avanzate da Cantone

Non siamo noi a dirlo. Basta leggere quel che scrive l’Anac di Raffaele Cantone e quel che emerge dall’audit  sugli appalti più grandi dell’esposizione. Gianni Barbacetto su Il Fatto Quotidiano ci offre uno spaccato delle performance di Sala assai eloquente. Rileva l’Anac: “Non è presente un elenco dei bandi espletati nel corso dell’ultimo triennio, accompagnato dalle indicazioni del numero dei dipendenti assunti e delle spese effettuate”. Mancano “criteri predeterminati” nella ricerca del personale, non sono stati pubblicati “dati relativi a autorizzazioni e concessioni”. Per non parlare dei dati di bilancio. Quanti i biglietti effettivamente venduti? A quale prezzo? Con quale incasso? Quali sono state le entrate dalle sponsorizzazioni? E gli extracosti? A quanto ammontano? L’Expo ha lasciato una scia di contenziosi e di penali dietro di sé.  Ma nessuno sa dire quanti siano. Quanto alle deroghe concesse al suo operato, Sala ha potuto affidare senza gara la maggior parte degli appalti. Compreso il più importante, quello della ristorazione, finito, guarda caso, alla Eataly di Oscar Farinetti, amico e finanziatore del presidente del Consiglio Renzi. La lista delle criticità si allunga ai lavori della “piastra”, alle carenze  di controlli sulle progettazioni, agli “errati computi metrici utilizzati per l’analisi dei prezzi”, all’uso “illegittimo delle deroghe all’applicazione del codice appalti”. Tra le tante perle gestionali, Sala è riuscito anche a fare qualcosa di incredibile e mai visto prima: ha rifiutato di dotare Expo del “Whistleblowing”, ossia della possibilità di denunciare riservatamente corruzioni e illegalità. Sala è un campione, non c’è dubbio. Di opacità.

 

 

 

 

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