Omo-causto: così i gay tentano di appropriarsi del Giorno della Memoria

15 Gen 2016 16:30 - di Gioacchino Rossello

Omo. Che sia radice o primo elemento il fatto è che evolve. Perchè la lingua evolve. E tutto il resto. Almeno, così dicono. Omo perciò, non più radice. Omo che è significato in se. Come in Africa il fiume, Omo. Perciò evolve. E perciò omo-nimo. Perchè viene dal greco, la radice. E non dal latino. Cosicchè risulta privo di acca (h) e non può, per questo, essere maschile. Senz’acca è, come dire?, senza nerbo. E senza nerbo, maschio non può essere. Omo, perciò. Buono per accoppiarsi tra simili. Uguali. Oppure omo-genei. O, omo-loghi. Fino ad arrivare al punto. O fino a ritrovare la strada. Sino ad essere omo-sessuali. Può far piacere o meno, ma la storia è questa. Storia di una radice greca che significa “uguale“, che ci riporta al fiume etiope e perciò all’attualità gaia. Contemporaneità linguistica. Quella che oramai tutto organizza e tutto condiziona. Politicamente corretta. Quella che governa lo stile e la vita. E che, con tutto quell’impegnarsi sullo stile e tutto quel discettare di vita, lentamente ma inesorabilmente  modifica i canoni. Omo che forma e conferma. Che forma, cioè,  il neologismo per confermare la bontà della tesi. Per cui adesso leggiamo che quello che fu l’Olocausto nel nuovo stile e nella nuova vita, di questo mondo così antico, diventa Omo-causto. Prorio così: Omocausto. Il nome dato ad una Mostra sulle vittime gay che apre i battenti a Reggio Emilia.  A marcare, ancora una volta, la differenza. Perchè pare essere proprio quella la necessità. Mostrare la differenza esibita e non il dolore provato. I sacerdoti dell’Omo sono inflessibili. Anche nella ricerca del neologismo. Perché Omo è la radice. Ed è la differenza che fa lo stile di vita. E che porta al sucesso. Il dolore, no. Il dolore fa solo l’Uomo.

 

 

 

 

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