Il referendum ricompatta il centrodestra: «No alla riforma Boschi e a Renzi»

20 Gen 2016 17:25 - di Luca Maurelli

Nella sala Nassiriya c’è il centrodestra unito, ma si intravedono anche i volti di avversari politici, dal grillino Vito Crimi alla verde Loredana De Petris, fino all’ex azzurro Mario Mauro, venuti a curiosare ma non certo a gufare. Remano anche loro dalla stessa parte, per una volta: bloccare la riforma Boschi, a tutti i costi, è l’obiettivo comune. Poco prima, in quel luogo evocativo del sacrificio dei nostri militari eroi in terra straniera, c’era stato anche il Pd anti-renziano e la sinistra anti-boschiana, per dire no ale riforme di Renzi con motivazioni quasi identiche a quelle del centrodestra.

Tutti uniti, in ordine sparso, per provare a bloccare le riforme istituzionali – che ridisegnano il Senato trasformandolo in una caricatura di se stesso – e per lanciare la campagna referendaria che da qui a ottobre (ma Renzi il furbetto potrebbe anticipare il tutto alla primavera, per sfruttare l’onda delle amministrative) chiederà agli italiani di “confermare” o meno quel ddl di riforma costituzionale che sta per passare definitivamente in queste ore proprio a Palazzo Madama.

La prima mossa referendaria è del centrodestra

 

Le iniziative per vincere il referendum contro la riforma del Senato, dunque, passano per la costituzione di comitati bipartisan operativi sul territorio per raccogliere le firme o solo per alimentare il dissenso: un nucleo di “resistenti”, targato centrodestra, ha mosso il primo passo proprio al Senato, con una conferenza stampa che ha dato alla battaglia referendaria anche il crisma dell’alleanza politica e programmatica futura, con la presenza dei capigruppo di entrambi i rami parlamentari. Al tavolo di presentazione del “Comitato per il no” al referendum sulla riforma Boschi, i forzisti Paolo Romani e Renato Brunetta, Fabio Rampelli per Fratelli d’Italia, Gian Marco Centinaio e Massimiliamo Fedriga per la Lega, al fianco di due presenze autorevoli: gli ex presidenti della Consulta Annibale Marini e Alfonso Quaranta, pronti a sostenere, per ragioni “tecnico-giuridiche” e non  di parte, la campagna referendaria contro il finto e pasticciato ridimensionamento del Senato. Quello ascoltato al Senato è un centrodestra finalmente ottimista.

«Gli italiani contrari alla riforma sono oltre il 70%»

Rompe il ghiaccio Renato Brunetta: «Sono ottimista, stando ai sondaggi, il “no” ha circa il 70% se si contano i voti del centrodestra, del M5S, della sinistra e di una componente del Pd». Ma è Annibale Marini a elencare, nel merito, le ragioni del no. «Il ddl Boschi è costituzionalmente illegittimo. Mi sembra stravagante che un Parlamento dichiarato costituzionalmente illegittimo da una sentenza della Corte Costituzionale si metta a fare una riforma costituzionale», sottolinea l’ex presidente della Consulta ed ex membro del Csm Annibale Marini che presiede il Comitato referendario assieme al costituzionalista ed ex presidente Quaranta. In più, Marini contesta l’idea di una riforma che farà risparmiare soldi a cittadini, ma anche il presunto  snellimento delle procedure legislative e anche le funzioni stesse dell’organismo, “una sorta di Cnel, che però, intanto, è stato abolito…», se la ride con Brunetta.

Di “pasticcio istituzionle” parla Fabio Rampelli, capogruppo di Fdi a Montecitorio: «Con questa riforma ci sarà una seconda Camera trasformata in organo amministrativo, il paradosso è che il Senato viene abolito ma in realtà continua a esistere, con conflitti edi competenze e senza il diritto-dovere dei cittadini di sceglierne i rappresentanti». Va al sodo il leghista Fedriga: «Il referendum, come ha detto lo stesso Renzi, sarà anche sul governo Renzi. E a noi questo non dispiace affatto». Si spinge anche oltre Paolo Romani: «Oggi comincia la campagna referendaria e Renzi ha deciso che questa non sia sui contenuti della riforma ma su se stesso. Sarà quindi un referendum sull’operato del governo Renzi: oggi è l’ultimo giorno in cui parleremo dei contenuti della riforma», sorride, come a dire che se l’autogol l’ha fatto il premier, non sarà il centrodestra a chiedere la moviola.

Il no anche dalla sinistra

Ma anche da sinistra si muove qualcosa. Il combinato della riforma costituzionale e dell’Italicum darà vita “a un Principato civile, come quello di cui parla il Principe di Machiavelli”, a vantaggio di Renzi, “che è un privato cittadino, non eletto in Parlamento”, aveva attaccato Alessandro Pace, presidente del Comitato per il no alle riforme, in una conferenza stampa tenuta poco prima assieme a Domenico Gallo, Massimo Villone e Alfiero Grandi. Proprio Villone ha sottolineato come dopo il referendum costituzionale di ottobre potrebbero tenersene alcuni abrogativi di alcune leggi volute dal governo Renzi, come il Jobs act e l’Italicum: «una stagione referendaria è l’unico strumento per contrastare le politiche regressive del governo Renzi, dato che il Parlamento si mostrato sordo e incapace di rappresentanza politica».

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *