Addio a Ettore Scola, grazie ai suoi film l’Italia si comprende davvero

20 Gen 2016 9:37 - di Redazione

La morte di Ettore Scola ci ricorda che il cinema italiano è stato grande, delicato, completo, affascinante. Il suo cuore si è fermato a 84 anni “per stanchezza”. Scola è stato un campione assoluto del miglior cinema italiano del secondo ‘900, un maestro che detestava i titoli altisonanti, che amava l’autoironia. Alle celebrazioni per i suoi 80 anni confessava: “Per il momento non ho tanta voglia di lavorare, anche perché diventa perfino difficile trovare il tempo: sanno che sei libero e ti cercano tutti, per le richieste più strane. Ogni paesino ha un cinema che rischia la chiusura, un festivalino che cerca di crescere, un circolo culturale. E io tutto sommato mi commuovo a sentire tanta passione, mi sembra tempo ben speso quello a fianco di giovani che credono ancora in valori e idee. Ma detesto le celebrazioni e l’enfasi, non è ancora tempo di mummificarmi”. E icona immobile non sarà nemmeno adesso, perché l’eco dei suoi film più belli tornerà presto grazie al film documento ancora inedito Ridendo e scherzando che gli hanno regalato le figlie, riprendendo quel testimone della memoria per la quale era tornato alla regia nel 2013 con il toccante Che strano chiamarsi Federico, quasi un album di famiglia strettamente intrecciato al ricordo di Fellini. Nato a Trevico, in Irpinia, nel 1931, si trasferisce con la famiglia a Roma, dove frequenta il Liceo classico Albertelli. Studente di legge, disegnatore e battutista sul ‘Marc’Aurelio’ di Ruggero Maccari e poi autore alla radio per le gag di ‘Mario Pio’ cucite su misura per Alberto Sordi, Scola cresce nel cinema italiano come un ‘ragazzo di bottega’. I suoi maestri sono Ruggero Maccari, Mario Mattoli, Steno, Antonio Pietrangeli ma anche Totò e Sordi. Eppure è a Vittorio De Sica che poi dedicherà il suo capolavoro C’eravamo tanto amati del ’74 ed è al neorealismo che guarderà con Una giornata particolare del 1977, scritto con Maccari da un’idea di Maurizio Costanzo, forse il punto più alto della sua collaborazione con l’amico Marcello Mastroianni che avrebbe diretto in ben nove film. Gli anni ’70 coincidono con la massima creatività dell’autore che però firma le sue prime sceneggiature già nei primi anni ’50, conoscendo successi da Un americano a Roma a Accadde al commissariato,  da Il conte Max a Il mattatore o La marcia su Roma che preannuncia il suo esordio dietro la macchina da presa: è il 1964, il film è Se permettete parliamo di donne. Ma è nel ’68 che, grazie alla garanzia di Sordi, firma il suo primo successo popolare con Riusciranno i nostri eroi. I vizi degli italiani sono in mostra, l’approccio è diverso da quello dei Monicelli e Risi, una vena di malinconia e di solidarietà per i suoi ‘mostri’. Dopo Scola diventa un ‘autore’ a tutto tondo. Da regista ha sempre guardato con disincanto alla sua carriera, eppure film come La più bella serata della mia vita, I nuovi mostri, La terrazza, La famiglia scandiscono altrettanti capitoli del miglior cinema italiano in una fase storica (l’ultimo terzo del ‘900) che acuiva il declino italiano. “Non mi pare che le cose siano migliorate – commentava di recente -, anzi. Ma mi fa piacere che titoli come La terrazza o La famiglia si vedano ancora, fotografano momenti di svolta importante nella nostra vita , specie il secondo che abbraccia idealmente 80 anni di storia italiana”.  Ha vinto a Cannes, a Venezia, per quattro volte è stato nominato all’Oscar e sulla bacheca di casa figurano 8 David di Donatello, compreso quello alla carriera ricevuto nel 2011. Ha tenuto a battesimo imprese culturali come il Festival di Annecy e quello di Bari, la Casa del Cinema (fondata dall’amico Felice Laudadio), la Festa di Roma (di cui ha presieduto la prima giuria, nel 2006). Ha vissuto tra i libri, le passioni, il disegno, la musica, senza sentirsi quel grande intellettuale europeo che era diventato.

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