Utero in affitto, anche le femministe contro il ddl Cirinnà. Ma il Pd s’arrocca

5 Dic 2015 12:53 - di Redattore 89
utero in affitto

Riportare in commissione la legge sulle unioni civili e far ripartire da zero la discussione. Lo chiede Maurizio Gasparri, all’indomani dell’ennesimo scontro sul ddl Cirinnà. Una divisione che si è spostata soprattutto all’interno degli ambienti della sinistra, dove le femministe di “Se non ora quando” hanno fatto sentire la loro voce contro il rischio di aprire la porta alla odiosa pratica dell’utero in affitto.

Gasparri: «No alla compravendita dei bambini»

«La legge sulle unioni civili va riscritta. Se ci si può confrontare su alcuni diritti non si può certamente dare il via agli uteri in affitto e alla compravendita di bambini. Finalmente anche le femministe di “Se non ora quando” hanno aperto gli occhi e dicono le stesse cose che diciamo noi da tempo. La legge va profondamente modificata», ha sottolineato Gasparri, avvertendo che «non accetteremo in silenzio scelte da eugenetica, aberranti e intollerabili».

L’appello di “Se non ora quando” contro l’utero in affitto

«Noi rifiutiamo di considerare la “maternità surrogata” un atto di libertà o di amore. In Italia è vietata, ma nel mondo in cui viviamo l’altrove è qui: “committenti” italiani possono trovare in altri Paesi una donna che “porti” un figlio per loro», si legge nell’appello di “Se non ora quando”, che prosegue sottolineando che «non possiamo accettare, solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali, che le donne tornino a essere oggetti a disposizione». Il nodo è la norma sulla stepchild adoption contenuto nel ddl Cirinnà, che prevede la possibilità per le coppie gay di adottare il figlio del partner. Nella pratica significa che la coppia può “procurarsi” un figlio con l’utero in affitto in uno dei Paesi in cui la pratica è ammessa e poi, e questo è il passaggio in più, tornare in Italia e farlo adottare legalmente dal “coniuge”.

La storia di Danielle, che ha affittato l’utero a due italiani per 22mila dollari

A confermare che si tratta di un’ipotesi tutt’altro che accademica arriva la storia di “Danielle”, una donna californiana che, a Repubblica, ha raccontato di aver concepito due bambini per una coppia gay italiana, già nel 2011. Per l’utero in affitto, ha spiegato la madre surrogata, «c’è un contratto che prevede la possibilità di cambiare idea, ma non c’è stato un solo momento in cui io abbia pensato di farlo», ha aggiungo, chiarendo che «c’è stato un pagamento. È una cosa molto comune: 22mila dollari».

Il Pd è spaccato, ma non vuole cambiare la norma

Quello sulla stepchild adoption è il passaggio più controverso della legge, sul quale fin dall’inizio l’allarme è stato lanciato dalle associazioni pro-life. Ora si aggiungono le femministe di “Se non ora quando”. Ma la questione è scottante non solo per le forze sociali più attive sul tema. Anche all’interno della stessa maggioranza e perfino dello stesso Pd crea lacerazioni molto profonde, rappresentando il primo ostacolo all’approvazione della legge. Nella maggioranza, tra Ap e Pd è scontro aperto, con i centristi che si dicono pronti a «sbarrare la strada» alle aberrazioni contenute nel ddl Cirinnà. Il Pd, dal canto suo, ha dovuto istituire una sorta di commissione interna per venirne a capo. Il gruppo di lavoro, composto da una decina tra deputati e senatori, dovrebbe presentare le proprie conclusioni a gennaio. Ma allo stato attuale sembra molto difficile che i democratici optino per lo stralcio della norma, che pure li divide in maniera così drammatica: «Non c’è motivo alcuno, nemmeno una discussione pretestuosa come quella sull’utero in affitto, pratica per altro vietata in Italia, per cambiare le decisioni assunte a Palazzo Madama», è stato il modo in cui il vicepresidente dei senatori Pd Claudio Martini ha risposto alle sollecitazioni di Gasparri per una nuova, più serena discussione.

 

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