Mirko Tremaglia, il “ragazzo di Salò” che divenne ministro della Repubblica

30 Dic 2015 18:13 - di Antonio Pannullo

Tutti volevamo bene a Mirko Tremaglia. Per una serie di ragioni, anche molto diverse tra loro. Per tutta la comunità missina prima e quella di Alleanza Nazionale poi, Tremaglia fu sempre uno di quei “ragazzi di Salò” che, appena adolescenti, scelsero la strada più difficile ritenendo che la guerra si dovesse finirla insieme a coloro con cui la si era iniziata. Tremaglia aveva 17 anni quando comunicò alla madre la sua ferma volontà di arruolarsi nella Repubblica Sociale Italiana insieme ai suoi fratelli. E la madre capì. Poi ci fu la guerra, la prigionia, l’impegno nel Msi e quello per gli italiani all’estero, il suo ruolo nel governo, nel Pdl, la sua grande intimità con i segretari storici del Msi, Giorgio Almirante prima e Gianfranco Fini poi. Tanto che per la grande amicizia con quest’ultimo, oltre che per le sue convinzioni politiche Tremaglia scelse di aderire a Futuro e Libertà. Ma, come detto, lui fu sempre amato nel partito, dai giovani e dai meno giovani, per il suo costante lavoro per l’Italia e per la comunità umana e politica cui appartenne sempre con fierezza. Non rinnegò mai la sua appartenenza alla Rsi, ai ragazzi della parte sbagliata: in una relativamente recente apparizione televisiva, difese la sua scelta con calma e con determinazione, sostenendo che ogni persona che credesse a determinati valori e che avesse una determinata morale, non poteva non compiere quella scelta. Scelta perdente sin dall’inizio, se ne era consapevoli tutti, ma che non per questo non bisognava compiere. Tremaglia, del quale oggi ricorre il quarto anniversario della scomparsa, era del 1926, e quindi è sempre stato un padre nobile per i missini che intraprendevano la difficile scelta della fiamma tricolore. Però lui era amato da tutti: almirantiani, rautiani, romualdiani, dai ragazzi del Fronte della Gioventù: la sua carica di umanità, il suo grande cuore, il suo lavorare senza risparmiarsi per quello in cui credeva, non potevano che suscitare rispetto. E l’affetto se lo era conquistato col suo carattere: scontroso, burbero, sopra le righe, ma quando lo conoscevi non potevi non apprezzarne la grande umanità e il grande cuore. Era capace di infuriarsi per un articolo, ci sgridava tutti, ma dopo pochi minuti gli era già passata. Era sempre attivissimo, ogni anno andava a Marcinelle, in Belgio, per commemorare gli emigrati italiani morti nel famoso disastro della miniera. Lì lo accoglievano i vecchi minatori e la comunità italiana in Belgio, i quali, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, gli volevano bene e lo stimavano.

Dal suo impegno per gli italiani all’estero nacque la legge Tremaglia

Era sempre in giro per il mondo per curare i rapporti e difendere gli interesse della comunità italiana all’estero, il cui coordinamento fu tutto opera sua. Così come la legge Tremaglia, che dette finalmente loro il diritto di voto. Una volta Tremaglia, quarant’anni fa, incontrò e parlò con Federico Fellini, il quale, ci riportano le cronache, gli disse che su di lui si sarebbe potuto fare un film, tanto la sua vita era stata avventurosa e particolare. I ricordi su Mirko Tremaglia arrivano disordinati e all’improvviso, e davvero, se non un film, su di lui si potrebbe scrivere un grande libro. Anche nel partito, poi, era un eretico: soprattutto sull’immigrazione e l’emigrazione, e sul reato di clandestinità, ebbe sempre delle idee opposte a quelle della maggioranza dei missini. Lui ricordava i drammi della nostra emigrazione all’estero, e su questo fu sempre intransigente. Poi non amava molto Silvio Berlusconi, e aveva accettato obtorto collo l’alleanza con Forza Italia, ma solo per responsabilità nei confronti del partito. E anche in questo si dimostrò controcorrente. La sua vita – e anche la nostra – fu certamente segnata dalla scomparsa prematura del figlio Marzio, che nel 2000, a poco più di quarant’anni, morì di un male incurabile. E Marzio, classe 1958, faceva parte della seconda generazione dei missini, di quella per intenderci dei Gasparri, dei Menia, dei Pasetto, degli Zanon, dei Fini, e come loro era impegnato in politica sin dalla più tenera età. Marzio era stato caldissimo assessore alla Cultura della Regione Lombardia con Formigoni, e a questo è legato l’aneddoto che mi fa piacere raccontare. Dopo la morte di Marzio, Mirko Tremaglia tornò alla Camera dopo un lungo periodo di assenza. Quando entrò, tutta l’aula si alzò in piedi e lo applaudì spontaneamente. In quel momento stava parlando Walter Veltroni, il quale all’inizio non capì cosa stesse succedendo, ma poi resosi conto, si interruppe e si rivolse direttamente a Tremaglia: ricordò che quando era ministro della Cultura aveva incontrato un giovane e bravissimo assessore alla Cultura della Lombardia, Marzio appunto, e che aveva iniziato con lui un proficuo rapporto istituzionale. Veltroni disse delle parole molto belle e sincere che certamente fecero piacere al decano del parlamento Mirko Tremaglia, che fu parlamentare ininterrottamente dal 1972 per ben 11 legislature. Tremaglia dedicò il resto della sua vita alla memoria di Marzio con numerose iniziative di vario genere.

Tremaglia fu cacciato dalla Cattolica di Milano per i suoi trascorsi nella Rsi

Ricordi, aneddoti: lui che dopo la guerra fu cacciato dall’Università Cattolica di Milano per i suoi trascorsi fascisti (ma poi si laureò egualmente in Giurisprudenza), nel 1963 partì per un avventuroso viaggio in Etritrea per cercare la tomba di suo padre morto laggiù. La trovò, e trovò anche che la tomba era piena di fiori, portati dagli italiani che ancora abitavano là. Successivamente tornò molte volte in Eritrea, anche dopo l’indipendenza. Quando ci fu il massacro di sette marinai italiani in Algeria, a Jenjen, nel 1994, da parte dell’iniziante terrorismo islamico, Tremaglia fu il primo a partire. Per decenni diresse e gestì la politica estera del Msi e di An, con scelte che non sempre furono condivise dal partito.  Ma certamente fece sempre quello che credeva giusto. Per questo nel 1996, nel famoso discorso di insediamento alla presidenza della Camera, Luciano Violante si rivolse direttamente a lui quando parlò dei ragazzi di Salò. Tremaglia, infatti, per la verità insieme ad Almirante, Romualdi, De Marsanich e a tanti altri, aveva sempre predicato la pacificazione nazionale tra gli italiani dopo la guerra civile, pacificazione che non è ancora compiuta. Per questo fummo tutti felici, quasi una liberazione catartica, quando lui, il ragazzo di Salò, divenne il primo ministro della Repubblica nata dalla resistenza, sembrava fosse finalmente arrivata la pacificazione nazionale da lui sempre auspicata. E per questo, infine, per tutto quello che abbiamo raccontato in maniera incompleta e sommaria, alle esequie di Mirko, nella “sua” Bergamo, c’erano miglia e migliaia di persone sinceramente commosse per la perdita di un grande uomo buono.

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