A “Report” arriva Maniero, la “faccia d’angelo” della mafia del Brenta

13 Nov 2015 13:22 - di Francesca De Ambra

È ormai botta e risposta a distanza tra l’ex boss della Mafia del Brenta, Felice Maniero, alias “faccia d’angelo”, e la conduttrice di Report Milena Gabanelli. Al centro della disputa, la contestazione da parte di Maniero della ricostruzione della morte della figlia, avvenuta nel 2006, che sarà trasmessa nella puntata che andrà in onda domenica prossima.

L’ex-bandito, oggi pentito, sarà ospite della Gabanelli

In una lettera zeppa di esclamativi inviata all’Ansa, l’ex-capo della cosca criminale del Brenta ha sottolineato di non aver mai asserito «di non credere al suicidio di mia figlia. Mai!». E poi ha aggiunto: «Ho seguito dettagliatamente tutte le indagini, dal primo giorno che l’ho saputo. Indagini, da parte di tutti gli inquirenti, eseguite con una professionalità impressionante. Visto che sono stato invitato domenica prossima in trasmissione accetto l’invito!». Ma non sarà solo della morte della figlia a tenere banco nella trasmissione della Gabanelli: Maniero, infatti, si è detto disposto a chiarire anche tutti gli aspetti del suo attuale lavoro. Secondo la conduttrice di Report, Maniero avrebbe una società intestata al figlio che si occupa di sistemi di filtraggio dell’acqua. Accusato di sfuggire al confronto Maniero ha replicato: «Domenica ci sarò certamente!».

Fu “Report” a scoprire che Maniero viveva sotto falso nome

La Gabanelli si occupò dell’ex-bandito, oggi pentito, già nel giugno scorso quando un giornalista di Report, Giulio Valesini ne scoprì l’indirizzo e soprattutto la nuova identità. Maniero si chiamava Luca Mori e abitava in una casa comunale ubicata in una via istituita dal comune di Campolongo (paese delle Dolomiti tra Veneto e Trentino) per i senzatetto. Nella piccola comunità Mori-Maniero è conosciuto come un imprenditore nel settore delle acque depurate, con in tasca un paio di brevetti sul sistema di filtraggio. Persinoil sindaco, Alessandro Campalto, ignorava che dietro l’identità dell’imprenditore si nascondeva uno dei più pericolosi elementi della storia criminale d’Italia.

 

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