Prima la guerra all’Isis o la caduta di Assad? Putin lo sa, Obama no

16 Nov 2015 15:40 - di Niccolo Silvestri

Premesso che bisogna restare uniti, che occorre puntare sul percorso politico, che non siamo di fronte ad uno scontro di civiltà, che è sbagliato uscire dalla cornice di legalità internazionale, che è necessario coinvolgere gli Stati musulmani, che l’immigrazione a maglie larghe è un problema ma solo secondario, tutto ciò premesso, come rispondiamo all’Isis o – come preferiscono i Paesi arabi – al Daesh? Siamo davvero certi che basti intonare per tre minuti la Marsigliese o sentirsi per un giorno cittadino francese, come solo qualche mese fa ci siamo tutti dichiarati Charlie Ebdo, per opporre al nemico la sensazione della nostra ferma volontà di europei di essere pronti a tutto pur di difendere i valori di libertà e di democrazia? E siamo altrettanto certi che subordinare il destino del siriano Assad all’intesa con la Russia di Putin corrisponda agli interessi vitali dell’Occidente?

Il portavoce di Putin al G20: «Occidente diviso contro il terrorismo»

Le notizie che arrivano dal G20 in corso ad Antalya, in Turchia, non sono per niente rassicuranti sotto questo profilo. La Russia – almeno questo è l’annuncio del portavoce del CremlinoDimitri Peskov ritiene «impossibile» contro il terrorismo «perché – ha spiegato – l’Occidente e’ diviso nei suoi approcci alla lotta a questo fenomeno». Dove è chiaro che per «approcci» s’intende Assad, per proteggere il quale Mosca ha già inviato a Damasco strateghi, armi e soldati. Costa davvero tanto a Barack Obama, a Francoise Hollande e agli leader occidentali che contano anteporre il contrasto al flagello dell’Isis al destino del dittatore siriano? Stessa domanda, per la verità, andrebbe rivolta al turco Erdogan e al re saudita Salman, non proprio due esempi di democrazia realizzata.

 Gli Usa puntano alla caduta del presidente siriano

Sono domande destinate a restare senza risposta. E tant’è: l’Europa, intesa come entità politica, diplomatica, militare, continua a non esistere e – con l’eccezione di Gran Bretagna e Francia – continua ad affidare agli Stati Uniti la difesa del proprio presente. Ma gli Usa giocano innanzitutto la loro partita secondo uno schema da guerra fredda che finisce quasi sempre per contrapporla alla Russia, cioè l’unica nazione che per ragioni di contiguità territoriale ha un interesse vitale ad impedire il contagio fondamentalista nelle regioni di lingua, cultura e religione islamica all’interno della  e quindi a debellare la minaccia dell’Isis nei tre vecchi continenti. È stato già ricordato, con ragione, che le battaglie e le guerre non si vincono solo con le “risposte democratiche” o “di massa” ma con l’adesione a quel principio di realtà che insegna a distinguere il possibile dall’impossibile, il progetto dal sogno, la strategia dall’improvvisazione e – soprattutto – ciò che prioritario da quel che non lo è. E tra la sconfitta dell’Isis e la destituzione di Assad nessuno dovrebbe faticare troppo a capire quale sia l’obiettivo più urgente.

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