Caso Shalabayeva, capo dello Sco e questore indagati per sequestro

27 Nov 2015 10:50 - di Redazione

Sequestro di persona: è l’accusa che i pm di Perugia contestano al capo dello Sco (Servizio centrale operativo) Renato Cortese, al questore di Rimini Maurizio Improta, ad altri 5 poliziotti e al giudice di Pace Stefania Lavore per il caso Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov espulsa dall’Italia nel 2013. La donna fu prelevata dagli agenti di polizia che cercavano il marito.

Shalabayeva sequestrata?

Le accuse nei confronti di Cortese e Improta sono riferite a quando i due erano rispettivamente il capo della squadra mobile di Roma e il capo dell’ufficio stranieri della questura della Capitale. Con la stessa accusa, nel registro degli indagati della procura perugina compaiono poi Luca Armeni e Francesco Stampacchia, all’epoca rispettivamente dirigente della sezione criminalità organizzata e commissario capo della squadra mobile di Roma, Vincenzo Tramma, Laura Scipioni e Stefano Leoni, tre poliziotti in servizio presso l’ufficio immigrazione. Nell’informazione di garanzia inviata agli otto si sosterebbe che i poliziotti e il giudice di pace, in concorso con alcuni funzionari dell’ambasciata del Kazakistan di Roma, il 31 maggio del 2013 avrebbero sequestrato la Shalabayeva e sua figlia di sei anni nella villa di Casal Palocco a Roma e successivamente le avrebbero espulse.

Alfano non sapeva?

La donna e la figlia, ha affermato la Cassazione in una sentenza del luglio del 2014, non dovevano essere espulse dall’Italia e il provvedimento di rimpatrio era viziato da  «manifesta illegittimità originaria». Il governo annullò l’espulsione. Quando scoppiò il caso, il governo annullò il decreto di espulsione e iniziò la trattativa diplomatica, condotta dall’allora ministro degli Esteri Emma Bonino, per il ritorno di Alma e della figlia. Tutta la storia è avvolta dal mistero: non venne mai fuori il reale ruolo del Viminale e le eventuali pressioni del governo kazako, con cui il nostro Paese mantiene rapporti economici molto stretti. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, negò di essere stato avvisato dell’operazione, e soprattutto negò di aver ricevuto delle pressioni dai diplomatici kazaki. La responsabilità politica, se così si può dire, ricadde sul capo di Gabinetto del ministro, Giuseppe Procaccini, che si dimise.

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