Cameron incalza la Ue: il vero nodo è l’immigrazione clandestina in Europa

10 Nov 2015 19:48 - di Redazione

Quattro mosse per avviare una partita a scacchi, che per qualcuno in realtà è solo una mano di poker. Sono i quattro punti del negoziato che – dalla questione della sovranità al nodo spinoso dell’immigrazione – il premier britannico David Cameron mette formalmente sul tavolo per cercare di ottenere da Bruxelles quelle riforme che il governo conservatore di Londra presenta come irrinunciabili per allontanare lo spettro della Brexit nel referendum che lo stesso primo ministro ha concesso allo schieramento euroscettico e che intende ora anticipare entro o subito dopo l’estate del 2016. La tanto attesa lettera con cui Cameron apre i giochi è stata recapitata poche ore fa al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e accolta tutto sommato con un sospiro di sollievo: non perché non contenga aspetti “altamente problematici”, come ha commentato a caldo una portavoce di Tusk, ma perché segna se non altro la fine dello stallo. E in fondo contiene almeno una parte di temi considerati a Bruxelles negoziabili. Un accordo «non è impossibile», ha sottolineato lo stesso inquilino di Downing Street illustrando il testo alla Chatham House di Londra. La parola d’ordine è “flessibilità”, anche se la richiesta – evocata a più riprese – è quella di accordi “giuridicamente vincolanti” sulle quattro aree indicate: governance economica, competitività, sovranità, immigrazione. L’invito di Cameron è di affrontare con «un atteggiamento pragmatico e non emotivo» la sfida referendaria. Sfida che non prevede bis né rivincite, avverte. Rivolgendosi soprattutto al fronte interno, il primo ministro nota innanzitutto che l’ipotetica uscita di Londra dall’Ue porrebbe anche problemi di “sicurezza nazionale”: tanto più che oggi “c’è l’Isis”. Ma rivolgendosi a Bruxelles – e cercando al contempo di stemperare il sospetto degli euroscettici di una “manfrina” – tenta di sfoderare un piglio assertivo e parla di “grandi cambiamenti”, da ottenere con “pazienza e inventiva”. I dettagli tecnici sono rinviati alla trattativa. Al “caro Donald”, come Cameron scrive familiarmente a Tusk, vengono comunque elencate “proposte di riforma” su dossier specifici. Senza che dal cilindro spuntino fuori grandi sorprese.

Cameron chiede all’Ue impegni per la crescita

In tema di governance, il premier britannico riconosce e incoraggia il rafforzamento dei legami fra i Paesi della moneta unica e afferma di non volere un ulteriore opt-out dall’euro rispetto a quello di cui Londra già gode, né un diritto di veto per i Paesi esterni all’Eurozona. Ma invoca “principi giuridicamente vincolanti” e meccanismi attuativi a tutela “dell’integrità del Mercato Unico” e dei “legittimi interessi” di chi non intende far parte di “un club dell’euro”. Quanto alla competitività, pretende impegni a favore della crescita, della libera circolazione di capitali, beni e servizi e spinge per gli accordi commerciali con Usa e Asia. In materia di sovranità, esclude ogni obbligo per il suo Paese verso una maggiore integrazione; ma soprattutto invoca un diritto di “gruppi di parlamenti nazionali” a “fermare” norme comunitarie sgradite. Sul fronte immigrazione, infine, insiste nel chiedere di contrastare quello che chiama “l’abuso” del ricorso ai benefici del welfare altrui da parte di immigrati intra-Ue ed evoca gradualità nel concedere piena libertà di movimento ai cittadini dei futuri Stati membri. Le reazioni non tardano ad arrivare. Angela Merkel non si nasconde le difficoltà, ma è “fiduciosa” di poter trovare un compromesso. E così pure i capigruppo delle due forze maggiori a Strasburgo, Manfred Weber (Ppe) e Gianni Pittella (Pse): il quale ultimo – al pari della portavoce di Tusk – respinge tuttavia passi indietro sul diritto di libertà di circolazione. In casa sua Cameron, incassa invece un mezzo sostegno da Boris Johnson, sindaco di Londra e rivale interno di partito, che non esclude un accordo, pur ammonendo che “sarà dura” e – addirittura – che a Bruxelles dovrà “gocciolare sangue”. Ma gli euroscettici, convinti che l’accoglienza europea celi una soddisfazione trattenuta a stento solo per non esporre troppo Cameron, parlano apertamente di bluff. E accusano il premier di aver ripiegato in sostanza su obiettivi “irrilevanti” che i partner sarebbero pronti a discutere anche senza la spada di Damocle del referendum. «Cameron – tuona Dominic Cummings, direttore della campagna Vote Leave – non prova nemmeno a chiedere di metter fine alla supremazia della legislazione europea. La sua è propaganda, ma il popolo britannico non abboccherà. L’unica soluzione resta uscire dall’Ue».

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