Buzzi pronto a parlare: sarà lui il super-pentito di Mafia Capitale?

26 Nov 2015 8:05 - di Redazione

Cinque minuti per dirsi da corrotto a pentito. Anzi di più, per rivelare di essere «pronto a combattere la corruzione». Il processo a Mafia Capitale ieri è entrato nel vivo con un colpo di scena. Salvatore Buzzi, il ras delle coop romane ritenuto il braccio econo mico del clan cresciuto all’ombra del Cupolone, ha rotto il silenzio e dal carcere di Tolmezzo è sbucato nell’aula bunker di Rebibbia a Roma, in teleconferenza, pronto a chiedere la parola per delle dichiarazioni spontanee. Mancava qualche minuto alle quattro. E le difese avevano appena finito di chiedere l’ammissione di mille testimoni per salvare dalla aggravante mafiosa molti imputati eccellenti (sul banco sono in 46, per lo più politici, amministratori e tirapiedi).

Buzzi da “cattivo” è diventato “pentito”

Buzzi si alza e il brusio si spegne. Con tono deciso il presunto boss, ritenuto a capo di un’associazione maflosa dedita alla corruzione e agli appalti pilotati e che userebbe la forza intimidatrice dell’ex Nar Massimo Carminati per far paura, si rivolge direttamente al tribunale, attacca la procura, e ribadisce (senza mai pronunciare la parola mafia) che lui da corruttore pentito «vuole un processo sereno», non affossato dai pregiudizi dell’accusa. «Ho assistito a continue aggressioni al mio diritto alla difesa da parte dei pubblici ministeri e a un linciaggio mediatico durato finora – dice -. Ho rivelato fatti sconosciuti alla procura e confermati anche da altri imputati. Malgrado questo sono stato accusato di aver detto falsità. Ho subito minacce durante la mia detenzione. Mi è stato rifiutato il trasferimento a Rebibbia con la motivazione che le mie coop avrebbero ancora interessi nella ristorazione del penitenziario. Si tratta solo di un piccolo progetto pilota. Ecco, vorrei essere giudicato in serenità».

Buzzi parlerà e chiede un processo equo

La moglie è in aula. Lui parla – racconta “il Mattino” – e lei piange. Trucco leggero, chignon e in total black, Alessandra Garrone, ai domiciliari da quasi un anno, sembra solo un’innamorata più che la spalla del boss. Hanno una figlia di sei anni e un futuro da scalare. «Non vedo l’ora che inizi l’istruttoria per dare una mano ad accertare la verità e combattere la corruzione», dice. Il processo ora si giocherà sui testimoni. Un migliaio quelli chiesti e che oggi la presidente della Corte Rosanna lanniello sfoltirà. In aula potrebbero arrivare gli ultimi due sindaci. Marino e Alemanno (quest’ultimo indagato in Mafia Capitale), il presidente della Regione Nicola Zingaretti, consiglieri comunali e regionali, i prefetti (Mori, Pecoraro e Moncone), Gianni Letta, l’architetto Fuksas e persino un Casamonica.

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