«Arrotolati nei tappeti e bruciati vivi»: il Papa ricorda i martiri dell’Uganda

28 Nov 2015 13:16 - di Redazione

Arrotolati in tappeti infuocati e bruciti vivi. Il più piccolo aveva 12 anni, il maggiore 32. Uccisi insieme, anglicani e cattolici, eliminati non solo per la propria fede, ma alcuni anche per aver difeso i ragazzi dagli appetiti sessuali di un re feroce. Era il 1886 e furono bruciati vivi. Eppure in Uganda non li hanno dimenticati, così ogni giorno tantissime persone vanno in pellegrinaggio ai due santuari di Namugongo, quello anglicano e quello cattolico; e arrivano a decine di migliaia il 3 giugno di ogni anno, memoria liturgica di Carlo Lwanga e dei suoi compagni. Papa Francesco li ha onorati oggi, andando a cercare quale sia la forza mite di questi giovanissimi martiri che ancora oggi parla al cuore degli ugandesi e degli africani. Ha celebrato la messa nel parco di fronte a un ampio lago artificiale, adiacente il santuario a forma di capanna, che poggia su 22 pilastri, quanti sono i 22 giovani martiri bruciati vivi. E in alcuni passi della omelia ha cercato alcune possibili risposte: hanno dato tutti la vita per la fede e il loro sangue unisce cattolici e anglicani, forse più di qualsiasi accordo teologico; erano giovanissimi, ma non hanno avuto paura di essere cristiani “in tempi pericolosi”; la loro storia dimostra che “i piaceri mondani e il potere terreno non danno gioia e pace durature“, e che piuttosto “fede, onestà, integrità di vita, genuina preoccupazione per il bene degli altri ci portano quella pace che il mondo non può offrire”. “Ciò – ha detto il Papa rileggendo per l’oggi il messaggio dei martiri ugandesi – non diminuisce la nostra cura per questo mondo, come se guardassimo soltanto alla vita futura. Al contrario, offre uno scopo alla vita in questo mondo e ci aiuta a raggiungere i bisognosi, a cooperare con gli altri per il bene comune a costruire una società più giusta, che promuova la dignità umana, senza escludere nessuno, che difenda la vita, dono di Dio, e protegga le meraviglie della natura, del creato, la nostra casa comune”. Non li onoriamo, ha riflettuto papa Bergoglio, se li guardiamo con sguardo “di circostanza o come fossero in un museo”, li onoriamo invece “quando piuttosto portiamo la loro testimonianza a Cristo nelle nostre case e ai nostri vicini, sui posti di lavoro e nella società civile, sia che rimaniamo nelle nostre case, sia che ci rechiamo fino al più remoto angolo del mondo”. Il rito ha mescolato canti, lingue e tradizioni locali, con quelle del rito latino; eseguiti mirabilmente, tra l’altro, il Kyrie in latino, il Gloria in lingua luganda e l’Agnus dei in latino. Alla messa hanno partecipato anche il presidente Museveni e re Ronald Muwenda Mutebi XI, ultimo discendente della dinastia Buganda. Della famiglia Buganda era re Mutesa I, che accolse i missionari cristiani e le conversioni alla loro fede. Ma il suo immediato successore, Muanga, cambiò prospettiva, iniziò le persecuzioni in cui morirono bruciati vivi o trucidati centinaia di cristiani di diverse confessioni, chiuse le vie di fuga dal Paese diventato ostile ai cristiani. E fece uccidere Carlo Lwanga, suo parente e capo dei suoi paggi, che protesse proprio i paggi dalle attenzioni morbose del re. Papa Bergoglio prima di celebrare la messa ha visitato anche il santuario anglicano di Namugongo, accolto da una quarantina di vescovi protestanti ugandesi, ha venerato le reliquie dei martiri anglicani.

 

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