Tabula rasa in Forza Italia: ecco la prima mossa di Berlusconi per il rilancio

15 Ott 2015 8:18 - di Redazione

Incontri coi big azzurri chiesti mesi fa, faccia a faccia con parlamentari e poi, quando era sera, una riunione coi coordinatori regionali. La giornata di Silvio Berlusconi è trascorsa così, tra uno sfogo contro Giorgio Napolitano «che ha paura della verità» e il riserbo su un «piano per il rilancio totale di Fi» che prevede azzeramento e nomina di nuovi responsabili regionali. In bilico ci sono i coordinatori, almeno dieci, nominati in buona parte dal presidente stesso, che saranno sostituiti entro pochi giorni.

Berlusconi pronto a cambiare i vertici di FI in dieci regioni

«Torneremo il primo partito, la rimonta è già iniziata», ha tranquillizzato i suoi ospiti entrati alle 20.30 a Palazzo Grazioli. Poche le richieste del Cavalieri ai suoi dirigenti: «Aprite le porte del partito e sforzatevi di costruire l’unità del centrodestra». Anche ieri l’ex premier è tornato a criticare i «professionisti della politica», seppur celebrando i «ritorni» di esponenti del suo partito che se n’erano andati. Il leader di Fi non sembra aver digerito la lettera che Giorgie Napolitano ha mandato a Paolo Romani, la missiva nella quale l’ex capo dello Stato parlava di «pietà» nei confronti delle «ossessioni» di Berlusconi: «Ha paura della verità; venuta meno l’intoccabilità date dal Quirinale, vuole nascondere così le sue responsabilità».

Continua lo scontro tra Napolitano e Berlusconi

Ma Berlusconi concorda con Napolitano – scrive “Libero” – che ha messo in guardia sui pericoli dell’Italicum: se una sola Camera vota la fiducia al governo e se quella Camera viene eletta non con una legge maggioritaria, che sarebbe un bene, ma con il premio di maggioranza (per molti aspetti l’opposto), ne deriva un pericoloso squilibrio, i cui unici contrappesi, ammesso che esistano, si trovano fuori dal Parlamento, magari presso la Corte costituzionale. Il che porta malissimo alle istituzioni. Sicché, dice oggi tardivamente Napolitano, sarebbe saggio modificare la legge elettorale. Ciò, però, è privo di senso politico: avendo accettato l’assurdo, ovvero che la legge elettorale precedesse la definizione dell’organo da eleggere, ora si pretende di cambiare una legge approvata e mai utilizzata.

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