Mafia Capitale, il Pd vuole il processo a porte chiuse. E sceglie l’abbreviato

26 Ott 2015 17:09 - di Paolo Lami

La strategia è quella di chiudere quanto più in fretta possibile il capitolo Mafia Capitale nel quale è rimasto invischiato il Pd romano e su cui è caduta la giunta Marino. Prima finisce l’agonia e si spengono le luci su questa vicenda vergognosa che ha fatto rotolare le teste di illustri assessori, uomini di governo locale e burocrati Dem e meglio è. E, soprattutto, meno pubblicità si fa, più si sta sereni, come direbbe Renzi.
E’ questo il motivo per cui i pezzi da novanta del Pd romano sporcati dal fango dell’inchiesta Mafia Capitale hanno scelto, ben consigliati in questo da storici e navigati penalisti del Foro romano, di chiedere il rito abbreviato ai magistrati di piazzale Clodio. Sperano di scomparire il prima possibile dalle pagine di cronaca e dalla scena giudiziaria (per riapprodare, più velocemente alla scena politica). Si prenderanno anche una condanna ridotta di un terzo. E, particolare non marginale, non dovranno stare a bagnomaria per mesi a sfilare in una pubblica gogna davanti a cronisti, pubblico e fotografi. Perché con l’abbreviato la faccenda si chiude, tutto sommato, in quattro e quattr’otto. Ma, soprattutto, senza troppo clamore né pubblicità. Il pubblico resta fuori. Si sbriga tutta la faccenda a porte chiuse. E chi s’è visto s’è visto.
Ecco perché gente come Daniele Ozzimo, il belloccio dem che Ignazio Marino aveva piazzato come suo assessore di fiducia con delega alla casa, ha chiesto (e ottenuto) il rito abbreviato. Come lui hanno fatto altri maggiorenti e nomi di spicco del Pd romano. Come Massimo Caprari, unico consigliere di quel Centro Democratico fondato da Bruno Tabacci. Anche Caprari sceglie e ottiene il rito abbreviato. Di pubblicità l’ex-ragioniere ne ha avuta già abbastanza, anche più di quel che sperava. Ecco le sue chiacchierate con Buzzi finite sui giornali: «Delibera debiti fuori bilancio approvata. Ho votato favorevole. Ciao. Caprari», s’inginocchia con un sms a Buzzi facendogli sapere di aver fatto il suo dovere. Passano un po’ di giorni e si capisce che Caprari inizia a scalpitare impaziente. «Senti… almeno ‘sta cosettina …» supplica. Buzzi lo tranquillizza: «Poi te ricambio, non te preoccupà … Siamo riconoscenti». Un po’ troppo vago. Così Caprari insiste: «Lo so… voi come… rapportate… di solito… coi consiglieri…». «Pranzi… tutto… qualunque cosa che a te va bene», gli risponde Buzzi. Ma il consigliere, evidentemente, punta ad altro. Altroché pranzi, qui ci sono in ballo i soldi. «Ma c’è il guadagno, no? – si informa preoccupato Caprari – C’è la percentuale…». «Dipende – lo tranquillizza Buzzi –  se ce se guadagna … Dal cinque al dieci». Era la risposta che il consigliere si aspettava: «Vabbè… se me voi mette al cinque me va più che bene …». E per essere certo di essersi fatto capire butta lì la cifra della corruzione: «Mille euro al mese…».
Anche Gerardo e Tommaso Addeo, collaboratori di Luca Odevaine, lo storico braccio destro di Walter Veltroni chiedono e ottengono il rito abbreviato. Così come Paolo Solvi, collaboratore dell’ex-presidente democratico del X Municipio Andrea Tassone, una delle ferite più profonde e dolorose nelle carni del Pd. Si torna in scena il 26 novembre prossimo quando comincerà il processo che Ozzimo aspetterà ai domiciliari. A nulla è servita la richiesta del suo avvocato Luca Petrucci.che presentato istanza di scarcerazione. Il Tribunale del Riesame l’ha respinta lasciandolo, appunto, ai domiciliari.

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