Il deposito di zio Paperone al posto del mausoleo di Ciano. Perché no?

7 Ott 2015 19:35 - di Antonio Pannullo

L’idea è di quelle che fanno ridere di cuore: e viene da uno che di umorismo se ne intende, e parecchio. Daniele Caluri, livornese doc, già giovane penna del mitico Vernacoliere, il mensile satirico irriverente e provocatore che allieta generazioni di giovani e meno giovani con le sue vignette blasfeme, goliardiche, simpaticamente volgari che non hanno rispetto per nessuno, ne ha pensata un’altra. Quali sono i termini dell’idea di Caluri, che in calce alla sua proposta ha sentito il bisogno di sottolineare di essere serio? Semplicemente quella di trasformare quello che rimane del mai compiuto mausoleo a Costanzo Ciano nel famoso deposito di zio Paperone. Geniale, come i suoi personaggi sul Vernacoliere; ma raccontiamo la storia per intero. Nei pressi di Livorno, su un colle, ci sono le rovine di quello che avrebbe dovuto diventare il mausoleo di Costanzo Ciano il quale, più che un “gerarca fascista”, come spesso viene indicato (quello era il figlio Galeazzo), fu un uomo politico e un militare, come testimoniano le sue sei medaglie al valore: una d’oro, quattro d’argento e una di bronzo, oltre a onorificenze varie. Dopo la morte di Ciano, avvenuta nel 1939, si decise di dedicargli un mausoleo effettivamente spettacolare: sopra un grande basamento (il deposito), era prevista la statua di Ciano alta 12 metri e un faro a forma di fascio littorio alto altri 50 metri. Allora non c’era mafia capitale, per cui il monumento fu finanziato onestamente, ossia con una sottoscrizione pubblica tra i livornesi, che generosamente risposero all’appello per conservare la memoria del loro illustre concittadino. Tanto è vero che la costruzione procedette piuttosto velocemente: fu costruito il basamento, che è l’unica cosa che rimane, e anche il faro, che però durante la guerra fu minato dai tedeschi e fatto esplodere. La statua, a quanto pare, o parte di essa, ancora esiste sull’isola di Santo Stefano, in Sardegna, e giace proprio nella cava dove la si stava realizzando. Altre statue destinate ad adornare il mausoleo sono invece ora sul lungomare di Forte dei Marmi. Se Caluri non fosse venuto fuori con la sua bizzarra proposta tutte queste cose le avremmo ignorate.

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Ma andiamo avanti. Il mausoleo da anni è ricettacolo di rifiuti, sporcizia, abbandono, degrado, anche perché l’amministrazione livornese ha aderito entusiasticamente alla damnatio memoriae di tutto ciò che è fascista sin da dopo la fine della guerra. Oggi, insomma, è un cubo di cemento grigio. Per cui, delle due l’una: o lo si restaura facendolo diventare magari un museo storico, oppure va benissimo colorarlo, di pittura che sia vivace però, e in questo senso il deposito di zio Paperone andrebbe benissimo. Se tutte le maxi periferie alienanti e le banlieues costruite dalle amministrazioni comuniste degli anni passati fossero almeno colorate, sarebbero certamente meno tristi. Non riteniamo però che il deposito attirerebbe chissà quanti turisti, come qualcuno si augura, perché a chi potrebbe interessare vedere un un finto deposito di zio Paperone sulle colline di un porto italiano, così lontano da Paperopoli? Sarebbe, meglio, a questo punto, un enorme cacciucco appoggiato sul basamento stesso. Comunque l’idea del creatore di Favadilesso e di Nedo ha fatto discutere, è finito sui giornali, ha suscitato migliaia di commenti: qualcuno si dice recisamente contrario, altri approvano, ma quasi tutti pensano che sia l’ennesima provocazione, e forse lo è. Per quanto ci riguarda, osserviamo solo che è sintomatico che al posto del monumento a un soldato italiano si voglia erigerne uno al capitalismo puro e semplice, perché questo rappresenta alla fine il deposito di zio Paperone. È il segno del cambiamento – deterioramento? – dei tempi. Forse Caluri non ci aveva pensato.

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