Chomsky: gli Usa beffano tutti, ecco perché non combattono il terrorismo

15 Ott 2015 14:20 - di Renato Berio

Noam Chomsky, il linguista che ce l’ha con gli Stati Uniti che si credono i gendarmi del mondo, ex star dei movimenti no global ma da ultimo difensore del protagonismo di Vladimir Putin in Europa, in un libro-intervista curato dal reporter di guerra Andre Vltchek (Terrorismo occidentale, Ponte alle Grazie) torna a puntare l’indice contro l’Occidente. Il suo j’accuse parte da un’affermazione di Orwell: il mondo si divide tra “persone” e “non persone”. E gli occidentali reputano appunto di essere solo loro persone e perciò non si curano del destino di tutti gli altri. Un approccio problematico che, dall’anti-occidentalismo, dovrebbe far approdare le coscienze a un nuovo umanesimo rispettoso dei diritti dei popoli. Un’utopia. Ma certo non meno “utopistica” della pretesa dell’Occidente di esportare ovunque il suo stile di vita e i suoi valori.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale, è il punto di partenza del libro-intervista Terrorismo occidentale, si contano 55 milioni di vittime causate dalle guerre mosse dall’occidente, dai golpe militari o da altri conflitti innescati a tutto vantaggio degli occidentali. Ma tutta la storia dell’Occidente è animata da un titanismo che può condurre le società evolute verso l’autodistruzione: un tasto sul quale Chomsky batte e ribatte nei suoi libri e nei suoi articoli sottolineando un punto: come sarà il pianeta tra cento anni? Il mercato non se ne cura ma il tema è di grandissima importanza ed è volutamente trascurato, per assecondare un’esistenza fondata sull’immediato, sul consumo all’istante, sull’illusione dell’appagamento.

Chomsky, infatti, mette in guardia i suoi lettori su un punto: la colonizzazione può essere anche “intellettuale e morale” e la più grande “conquista di un sistema repressivo è convincere le ‘non persone’ che quella è la loro condizione naturale”. L’Occidente non è dunque il migliore dei mondi possibili ma lo stesso Chomsky deve ammettere che i grandi paesi emergenti, quelli che rendono il mondo non più bipolare ma multipolare, come la Cina e l’India non se la passano molto meglio.

Utile dunque l’analisi di Chomsky quando smaschera la propaganda occidentalista in politica estera, facendo notare ad esempio che l’idea che gli Stati Uniti contrastino l’Islam radicale è “ridicola” perché lo stato più fondamentalista al mondo è “l’Arabia saudita, pupilla degli americani”; meno incisivo il suo ragionamento quando scade nell’ideologia e va a cercare modelli alternativi all’Occidente là dove essi sono inesistenti, sia che citi Cuba sia che citi il Venezuela o l’Iran.

 

 

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