Ecco come i negozi cinesi ed egiziani si sono impadroniti dei nostri quartieri

2 Set 2015 8:41 - di Giorgio Sigona

Persino al centro di Roma, dove prendere in gestione un locale costa un occhio della testa, nascono come funghi negozi gestiti da stranieri. Si trova spesso un cartello, solo prodotti italiani, c’è anche il tricolore, ma poi scopri che il “capo” non conosce neppure la nostra lingua o la parla poco. Certo, si paga di meno e sono sempre aperti, anche nei giorni festivi, quindi in tanti vanno lì ad acquistare. Conviene. Anche se spesso ci si chiede dove abbiano preso i soldi per fare investimenti di così grossa portata. E soprattutto quali controlli ci sono, se esiste una rete commerciale fatta a ragnatela e chi la gestisce.

C’è un incremento negli acquisti

Avviene in ogni città, in ogni quartiere. Gli italiani tornano a far la spesa, con un incremento dello +0,4% del valore negli ultimi tre mesi secondo un’analisi della Cia-Confederazione italiana agricoltori su dati Istat, e a farla nelle botteghe sotto casa. «Per la prima volta – sottolinea la Coldiretti – si registra nel 2015 l’aumento delle vendite (+2,4%) nelle piccole botteghe alimentari, che risultavano in calo su base annuale almeno dal 2008. Una vera novità con un balzo superiore alla crescita fatta registrare in tutte le altre forme distributive, alimentari e non, dagli iper ai supermercati. Eccezion fatta per i discount alimentari che continuano la corsa e mettono a segno a giugno un +4,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso». Il ritorno alla spesa di quartiere è stimolato però dal proliferare in città dei negozi ad orari no limits gestiti da immigrati.

 Prodotti italiani e negozi cinesi, il nostro commercio è in coma

«Si stima – continua la Coldiretti – che oltre 6 milioni fanno regolarmente acquisti per almeno un prodotto/servizio presso negozi cinesi, indiani, maghrebini, ecc.». A trainare il fenomeno sono i negozi di frutta e verdura, ma vanno forte anche le vendite di altri prodotti alimentari, oltre ai casalinghi, nonché sapone e detersivi. Le imprese di commercio al dettaglio gestite da stranieri sono complessivamente 125.965 e, in controtendenza alla crisi, sono cresciute del 13,4% dal 2011, secondo le elaborazioni Coldiretti sui dati dell’annuario Censis 2014. Lo studio evidenzia che l’incremento più forte (+33,9%) riguarda proprio i negozi di frutta e verdura, e che quelli guidati da immigrati rappresentano il 10%. La situazione di mercato è molto varia, anche se c’è una sorta di specializzazione per etnia che va dagli spacci dei cinesi dove si vende di tutto a un euro, agli egiziani che vendono soprattutto la frutta con orari di apertura molto allargati e utili alle esigenze di una vasta platea di consumatori. Tuttavia, osserva Lorenzo Bazzana, responsabile economico Coldiretti, «ci sono perplessità sull’etichettatura dei prodotti, sui parametri igienici di locali talvolta usati anche come abitazione, nonché sulle aperture e chiusure dell’esercizio spesso troppo rapide. Tutti gli operatori, piccoli e grandi, devono rispettare le norme. Le autorità preposte dovrebbero perciò controllare – chiede la Coldiretti – per evitare che dietro queste serrande si palesino rischi di dumping, di riciclaggio del denaro, o modalità poco ortodosse. Con la scarsa conoscenza dell’italiano, ci si chiede, come si può ottemperare alla vendita di prodotti freschi, a scadenza».

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