“Italia sì bella e perduta”… Il manifesto di Veneziani per un nuovo inizio

19 Set 2015 12:31 - di Silvano Moffa

Italia “sì bella e perduta”. Italia disperata, dispersa, piegata e piagata. Italia alla deriva, senza rotta e nocchiero. Italia spezzata, derisa, vilipesa. Italia fragile, nel carattere degli abitanti e nella straordinaria bellezza dei luoghi, dei monti, delle valli, dei fiumi,, delle coste luminose. Italia inguaiata. Dove il declino diventa categoria dello spirito, prima ancora di essere materia che si scompone. Dove vivono italiani che sono diventati “italieni”, cioè “transgenici e mutanti”. “Cresciuto tra corvi, sciacalli e carogne, l’italiano si è nutrito di secessioni, processi chimici, dissolutivi e giudiziari e deve il suo status vagante di extraterrestre all’habitat in cui ha vissuto: la corruzione e il malaffare, la fine ingloriosa di ogni discorso politico e comune, l’avvento dei tecnici inumani alla guida del paese, la persecuzione fiscale e la crisi, l’antimeritrocazia e la sfiducia, l’istigazione all’egoismo,  alla maleducazione e ai cazzacci propri. E sul piano privato, la demolizione della famiglia e di ogni rapporto organico con il proprio habitat”. L’Italia in cui viviamo è questa, e tante altre cose ancora. S’impone una domanda: come si fa a vivere in un paese così ridotto? C’è voglia di fuga, di abbandono, di rompere gli ormeggi. Maledetta Italia. “Porca Italia!”, imprecava Curzio Malaparte. “L’Italia finisce. Ecco quel che resta”, scriveva Prezzolini mezzo secolo fa. Pasolini raccontava un paese in macerie, a cavallo degli anni Settanta, e Ceronetti di Italoshima, devastata da un’atomica spirituale e ambientale.

Veneziani e la “nostalgia dell’avvenire”

A questa Italia, Marcello Veneziani torna a guardare con amarezza, rabbia , sconsolata ironia. Ma dietro quella spessa patina di sfiducia, nella dolente osservazione del marcio e del brutto che ci circonda, inquieta e paralizza, si avverte il fremito di un amore irriducibile, di una passione, di uno struggente affetto. Vibra il senso di attaccamento alla  storia, a luoghi, cultura, tradizioni, a vicoli e piazze, a costumi e sapori. Patrimonio immenso, racchiuso nel magico scrigno dove è custodita l’anima profonda di un popolo, l’espressione più pura, sacra e genuina, di quel che si chiama genus loci, e che Veneziani definisce, con superba sintesi, Italianità. Nella sua più recente fatica letteraria  (“Lettera agli italiani”, Marsilio Ed.), Marcello Veneziani ci consegna l’opera matura di una attento, disincantato, ma non estraneo, osservatore del tempo presente. Una riflessione a tratti impietosa, ma veritiera. Una fotografia a ritroso del Paese che ereditammo dai padri e dai nonni. Con le sue emergenze spigolose, i suoi conflitti, le sue sofferenze e le sue povertà, le contraddizioni, le asprezze e durezze. Eppure, un paese capace di scuotersi dal torpore, di sfuggire all’apatia, di non vivere di rassegnazione. Un Paese che seppe rimettersi in marcia. Così come ciclicamente è accaduto nei millenni che sono alle nostre spalle. Un fotogramma che si snoda e dipana lungo i tornanti della storia, attraversa sensibilità, incrocia poeti e letterati, condottieri, artisti, musicisti, architetti, costruttori e distruttori. Eppure sopravvive. Ecco, da questo Paese, anche se la tentazione è tanta, è difficile distaccarsi. Ne sentiamo il peso ossessivo e angoscioso quando lo viviamo, ne avvertiamo la nostalgia quando lo lasciamo.

Veneziani: Ecco da dove bisogna ripartire

Ed allora, che fare? “Ripartire dal cuore della propria vita è inevitabile e salutare”, consiglia Veneziani. Purché si abbia il coraggio di elaborare un pensiero, ideale e intellettuale, e non si riduca il mondo ad una “pustola dell’Ego”. Di qui bisogna ripartire. Perché l’Italia ha bisogno di ritrovare un’anima. “Una civiltà fiorisce se ha coscienza di avere un’anima, sfiorisce quando la perde”. Ricordava Gustave Le Bon: “Appena scompare l’anima nazionale, i popoli si disgregano”. Così, la Lettera agli italiani di Marcello Veneziani si trasforma in un Manifesto culturale, prima ancora di proporsi come manifesto politico. Diventa canovaccio da cui ritessere la tela. Della Patria, della Sovranità, della Identità. Sono le Icone della nostra coscienza collettiva e comunitaria. La via di fuga dall’orribile presente che ci assilla e spaventa. La strada per dare una scossa e salvare l’Italia dagli “italieni”. Una indicazione di Futuro per i ragazzi che non sanno “di quella storia tragica e solenne al cui tramonto noi nascemmo”. Parole che mirano al cuore e alla testa. Che ti afferrano e ti trascinano. Succo mirabile di una narrazione che raccoglie il disperato appello di chi – confessa Veneziani –  “sente di aver esaurito i serbatoi della disperazione”, ma  a cui “è rimasto solo un granello assurdo di fiducia per principiare l’impresa”. Tornando ai “princìpi fondativi, allo spirito dell’inizio”. Questo vale per la Destra che si è dispersa e frantumata. Ma vale innanzitutto per l’Italia intera. “Quando tutto è perduto non abbiamo più nulla da perdere. Quando tutto finisce non resta che ricominciare”, scrive Veneziani. Come? Basta rovesciare la clessidra.

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