Perché Inside Out piace a tutti: la filosofia dell’infanzia secondo la Pixar

24 Set 2015 16:27 - di Renato Berio

Perché  il nuovo film della Pixar, Inside Out, ha tanto successo? Perché i creativi che l’hanno realizzato sono bravi e intelligenti, perché è un film che piace a bambini e adulti, perché è originale, perché fa pensare. Potrebbe anche bastare, come spiegazione. Ma l’Italia è il paese dei dibattiti infiniti e così quello sul film di John Lasseter, considerato come un moderno Walt Disney, è appena cominciato. La storia è presto riassunta: protagoniste del racconto sono le emozioni – Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia, Disgusto – che si agitano nell’animo di una bambina, Riley, che deve affrontare la sua prima “prova”: il trasferimento della famiglia in un’altra città. Le emozioni si alternano alla consolle, in una sorta di cabina di regia, per guidare la bambina nella sua crescita e il “lieto fine” consiste nel fatto che si troverà un equilibrio fondato sulla collaborazione degli stati emotivi della piccola, ormai dodicenne.

Inside Out: Il Foglio contro Gramellini

Parlare di tristezza nell’infanzia è rivoluzionario? Lo ha sostenuto Massimo Gramellini, esagerando un po’. La tristezza, o meglio la sofferenza, fa parte del substrato di tante favole e di tante narrazioni per l’infanzia, basti pensare ai romanzi di Dickens. Sul Foglio invece Alessandro Giuli ha esortato tutti a non eccedere nell’elogio della tristezza – che nel film è una pupazzetta blu molto tenera e simpatica – per lasciare che i bambini provino quell’entusiasmo che è connaturato alla loro età. Ma è su Avvenire che il dibattito si è fatto più alto e “filosofico”. Che cosa insegna, infatti, un film che mette al centro della storia le emozioni? Secondo Luigi Ballerini è pericoloso tenere da parte la razionalità, componente essenziale dell’evoluzione umana. Gli replica Alessandro Zaccuri elogiando il film come narrazione azzeccatissima dell’educazione delle emozioni infantili, non più lasciate a uno stato selvaggio ma uniformate e finalmente strutturate senza dare prevalenza disordinata a questo o a quel sentimento.

Inside Out si ispira a Hume o a Platone?

Ma in pratica Inside Out è un film sensista o platonico? O tutt’e due? Se è vero, come predicava David Hume, che noi siamo ciò che sentiamo, la lotta tra sensazioni opposte che si alternano alla consolle emotiva di Riley esprime filosoficamente il sentimento del mondo tipico della modernità. Se noi possediamo invece un’anima razionale che, come l’auriga del mito platonico, deve disciplinare le nostre emozioni, allora alla consolle del film dove operano Tristezza, Gioia, Rabbia, Disgusto e Paura, può essere dato tutt’altro significato spirituale. Senza mai dimenticare che in fondo è un film pensato e realizzato per avere un grande successo di pubblico e quindi per divertire, magari anche accettando la sfida “filosofica” che è sottesa alla trama e che viene risolta coniugando insieme il buon Platone con Hume e magari anche occhieggiando alla dialettica di Hegel: dal contrasto delle emozioni in lotta fra loro non nasce infine una salutare sintesi? Rispetto alle fiabe tradizionali, in ogni caso, ciò che manca non è la filosofia occidentale bensì la “prova” da superare, passaggio essenziale nelle vicende di ogni eroe che si rispetti, ma siamo nell’età che non ha bisogno di eroi bensì di emozioni. E la Pixar ci accontenta volentieri, centrando come sempre il risultato.

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