Esce “Vecchia guardia” di Daquanno, uno dei fascisti appesi a Piazzale Loreto

30 Set 2015 17:56 - di Antonio Pannullo

L’editore Eclettica ripropone un classico del fascismo – prima pubblicazione 1934 – che fa luce su molti aspetti storici e politici di quel governo ventennale: Vecchia guardia, opera realizzata da un grande personaggio del Novecento, Ernesto Daquanno, giornalista interventista e futurista- e ovviamente fascista – fucilato a Dongo il 28 aprile del 1945. Anche su Daquanno si è abbattuta la damnatio memoriae attuata dal regime ciellenista dopo la guerra, e poi proseguita a opera dell’intellighentzia di sinistra nel tentativo – dimostratosi vano – di rimuovere dalla memoria collettiva degli italiani le figure maggiormente di spicco del fascismo, come, appunto, Daquanno. Daquanno, classe 1897, conobbe Benito Mussolini addirittura nel 1915, durante una turbolenta manifestazione interventista, al termine della quale entrambi  passarono qualche giorno in guardina insieme. Da allora in poi la loro frequentazione fu sistematica: Daquanno aderì al movimento futurista di Marinetti, di cui fu sempre un entusiasta estimatore, ed era presente alla fondazione del Fasci di Combattimento, nel 1919. Daquanno era soprannominato nell’ambiente futurista “vasto ciclone”, e il clima era quello elettrizzante, entusiasta, sognatore, modernista di quegli uomini impavidi. L’atmosfera di San Sepolcro è descritta dall’autore proprio su questo libro appena ripubblicato.

Daquanno fu fedele a Mussolini da San Sepolcro fino al loro assassinio

Nel 1921 Mussolini lo chiama al Popolo d’Italia, e in seguito Daquanno descrive la partenza del duce per Roma, per la famosa marcia, con commosse parole che possiamo rileggere in Vecchia guardia. Da allora in poi egli si dedica completamente al giornalismo e alla scrittura: lavora per i più prestigiosi quotidiani italiani, dalla Stampa al Lavoro di Genova al Corriere adriatico di Ancona. Il 25 luglio 1943 considera: «Una dittatura può durare sei mesi, non certo vent’anni…». Nel 1925 sposa l’amore della sua vita, Lilla Zink, originaria di Zara. Avranno un figlio, Ezio. In un suo libro di quegli anni fa una riflessione che merita di essere riportata: «Il fascismo è l’unica forza rivoluzionaria che può impedire la degenerazione materialistica di un mondo che ruota solo intorno al profitto». Dopo la caduta del fascismo i badogliani cominciano a perseguitarlo, e lui viene nominato da Pavolini direttore del Giornale Radio. Va a Milano e a Venezia, e fine maggio del 1944, dopo aver aderito alla Repubblica Sociale Italiana, viene nominato direttore dell’agenzia stampa Stefani. L’aprile 1945 lo vede vicino al duce, nella colonna che viene fermata sul lago di Como. Condivide il destino del capo del fascismo insieme ad altri 15 fascisti, fucilato sul lago dalle bande partigiane. E condivise col duce anche l’ignobile spettacolo di piazzale Loreto. Aveva 48 anni e nessun diritto a un processo.

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