Beni mafiosi, indagati anche tre togati. E il prefetto Caruso attacca la Bindi

12 Set 2015 17:51 - di Francesca De Ambra

Al momento, la Procura di Caltanissetta, che conduce le indagini, non smentisce (il che già equivale a una conferma) la notizia riportata dal Messaggero circa altri tre magistrati indagati nell’inchiesta sulla gestione dei beni sequestrati. «Notizia che è di fonte romana e non ho nulla da dichiarare», è la laconica replica del capo dei pm nisseni a chi gli chiedeva di fornire ulteriori dettagli in merito all’inchiesta che vede coinvolta Silvana Saguto, fino a ieri a capo della sezione Misure di prevenzione al tribunale di Palermo. Secondo il quotidiano romano, indagati con la Saguto ci sarebbero altri tre magistrati palermitani. A tutti la procura di Caltanissetta contesta una serie di irregolarità nella gestione dei beni sequestrati alla mafia e reati che vanno dalla corruzione all’abuso d’ufficio e alla rivelazione del segreto d’ufficio.

Tra gli incriminati anche Virga, già membro della Csm

I togati indagati sono Tommaso Virga, ex-membro del Csm e ora presidente di sezione, Lorenzo Chiaromonte, collega d’ufficio della Saguto, e il pm Dario Scaletta. Scaletta è accusato di rivelazione di segreto d’ufficio: avrebbe dato notizie sull’inchiesta a Chiaromonte e a un altro collega. Sempre secondo il Messaggero, Virga avrebbe favorito un procedimento disciplinare che riguardava Saguto, la quale a sua volta avrebbe garantito la nomina del figlio di Virga, Walter, ad amministratore giudiziario dei beni sequestrati a Palermo agli eredi di Vincenzo Rappa mentre Chiaromonte non si sarebbe astenuto dalla decisione di affidare la gestione di beni per 10 milioni sequestrati al boss Luigi Salerno, nonostante l’amministratore designato fosse una persona a lui vicina. L’indagine nissena, insomma, svela uno spaccato di amicizie, rapporti familiari dietro cui si celavano interessi affaristici schermati dall’attività giudiziaria.

La Bindi ignorò la denuncia dell’ex-direttore dell’Agenzia dei beni confiscati

L’inchiesta nissena rischia di avere un effetto domino sui santuari dell’antimafia di professione. Nei mesi scorsi l’ex direttore dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso, aveva denunciato i presunti conflitti d’ interesse di Gaetano Cappellano Seminara, l’amministratore giudiziario cui la Saguto ha affidato la gestione di tutti i beni confiscati ricevendone – secondo l’ipotesi dei pm – consulenze per il proprio marito, l’avvocato Lorenzo Caramma. Ma – come riporta Liberoquotidiano.it in un articolo di Giacomo Amadori – a seguito di questa denuncia «nel 2014 Caruso venne convocato dal presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi e i due diedero vita a un aspro confronto. Bindi parlò di “effetto delegittimazione” e di “un’accusa generalizzata al sistema” e “a magistrati che rischiano la vita». Contattato da Libero, Caruso replica duramente: «Ora qualcuno dovrebbe confessare come stanno effettivamente le cose e più di qualcuno dovrebbe dimettersi, dovrebbe essere consequenziale alle cose che ha detto, se non corrispondono a verità…». Pur senza citare la Bindi, il prefetto rievoca l’audizione in cui la presidente dell’Antimafia ricordando di essere stato più volte interrotto mentre cercava di proporre le sue soluzioni per ovviare alle criticità dimostrò «di non aver approfondito bene il problema o di aver percepito in maniera distorta» le sue dichiarazioni. Caruso denuncia da molti anni le criticità della legge sulla confisca dei beni mafiosi: «Non sono riuscito a comprendere quel suo atteggiamento». Caruso non si ferma e tira in ballo il senatore del Pd, Giuseppe Lumia: «Per esempio… Io, da tecnico non posso affermarlo, ma per qualcuno, visto che non è un’esperta della materia, potrebbe essere stata strumentalizzata da Lumia che in Sicilia è il campione dell’antimafia. Da prefetto di Palermo a Lumia qualche bacchettata l’ho data».

 

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