Il Pd di Renzi corre verso la scissione. E in autunno il Cavaliere…

13 Ago 2015 14:00 - di Giacomo Fabi

Il residuo senso del pudore impone ancora a parlamentari e dirigenti della minoranza del Pd di non pronunciare pubblicamente la parola scissione, ma nei loro pensieri l’idea di mollare Renzi e abbandonarlo al suo destino comincia a penetrare con la forza di un trapano. Prova ne sia l’intervista rilasciata da Alfredo D’Attorre, a Monica Guerzoni del Corriere della Sera, nel corso della quale il deputato bersaniano rinvia ogni decisione al prossimo autunno, che egli stesso annuncia come «uno snodo cruciale». Solo allora, infatti, i compagni dell’opposizione interna valuteranno se passare dalle parole ai fatti e dare vita ad una vera scissione.

Il Pd scarica sugli italiani il peso dei propri litigi

La strada della separazione dai renziani è stata in questo ultimo anno e mezzo una specie di fiume carsico: il 40 per cento totalizzato alle “Europee” dello scorso anni sembrava aver messo tutti d’accordo. Ma era solo il tributo da pagare alla vittoria del nuovo segretario-premier. Ma il fuoco covava sotto la cenere, appena appena attutito dagli effetti della pesca delle occasioni allestita dal governo, come il ddl Cirinnà sulle unioni civili, l’immissione in ruolo di centomila insegnanti precari, gli 80 euro ai dipendenti con meno 1600 euro mensili. Provvedimenti usati da Renzi come zuccherini per addolcire quelli più indigesti ai vari Cuperlo, Gotor e Rosy Bindi tipo Jobs Act, la legge, nuovo falso in bilancio e soprattutto il testo Boschi sulle riforme costituzionali, ideato e sfornato ai tempi del controverso Patto del Nazareno.

Presto il premier avrà bisogno dell’aiuto di Berlusconi

Il risultato di questa continua fibrillazione è a dir poco avvilente: a pagarne il conto è il Paese nel suo complesso. Finora Renzi ha cercato di supplire alle defezioni dei suoi oppositori con la pratica delle maggioranze variabili. Ma il suo gioco si è fatto fin troppo scoperto. Con sé ha in pianta stabile Denis Verdini e il suo gruppo di fuoriusciti al Senato. Ma il soccorso dell’ex-braccio destro del Cavaliere è insufficiente a coprire i voti mancanti del Pd. Se il premier vuole andare avanti è con Berlusconi che deve trattare ed a lui che dovrà corrispondere un prezzo in termini politici. Al momento sembra una strada obbligata. A quel punto, per la minoranza del Pd pronunciare la parola scissione non sarà più un’indecenza.

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