13 agosto 1943: gli aerei “alleati” colpirono Roma per la seconda volta

13 Ago 2015 9:09 - di Antonio Pannullo
Papa Pacelli tra la folla dopo il secondo bombardamento su Roma

Il 13 agosto 1943, alle 11 di mattina, gli “alleati” effettuarono il cosiddetto secondo bombardamento su Roma: il primo, quello di San Lorenzo, era avvenuto il 19 luglio dello stesso anno. Nell’estate del 1943 gli anglo-americani effettuarono 51 incursioni aeree sulla capitale che provocarono oltre settemila morti. In questo secondo bombardamento presero parte solo aerei statunitensi che, pur se ostacolati dalla contraerea italiana, fecero diverse ondate sganciando i loro micidiali ordigni su molte zone della città. Le incursioni durarono un’ora e mezza. San Giovanni e San Lorenzo furono nuovamente colpite, così come la via Casilina, dove fu anche mitragliato un treno dai caccia Usa. Il Verano fu ancora una volta violato, e la stessa tomba della famiglia Pacelli fu distrutta dalle esplosioni. Colpite anche la via Flaminia e la zona di Tor di Quinto. Le arcate dell’acquedotto Claudio, che avevano resistito duemila anni, crollarono. Pio XII si recò immediatamente sui luoghi colpiti, accompagnato dal cardinal Montini e da un ingegnere del Vaticano. Il Papa scese tra la folla e cercò di portare conforto ai sinistrati. A livello mondiale l’impressione fu enorme, perché per la seconda volta in poche settimane la città eterna, il cuore della cristianità, era stata colpita tanto brutalmente. Poco importa che il giorno dopo i bombardamenti Badoglio dichiarasse Roma “città aperta”; agli alleati non interessava, erano padroni assoluti dei cieli, e potevano colpire i civili impunemente, nel tentativo di stroncare il morale della popolazione, operazione solo parzialmente riuscita. Gli inglesi addirittura giudicarono il gesto una cosa grottesca.

Roma subì in tutto 51 incursioni, per un totale di settemila morti

Ma l’ipotesi del bombing of Rome terroristico aveva iniziato a circolare tra gli alleati sin dall’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania. Poi la partecipazione italiana, anche se limitata, alle offensive aeree su Londra e gli attacchi italiani in Egitto e in Grecia, spinsero sempre più gli americani e gli inglesi a pensare a un bombardamento sulla città sede del governo fascista. Inutili furono le dichiarazioni continue del Vaticano in difesa delle opere d’arte e del patrimonio culturale presenti a Roma. Lo stesso papa Pacelli si prodigò per l’immunità della città eterna nei confronti delle bombe di tutti i belligeranti. Ma la verità è che i romani, abituati a tutto dalla storia, non credevano alla possibilità che effettivamente Roma fosse bombardata, tanto che la capitale fu una delle pochissime grandi città, se non l’unica, a incrementare la propria popolazione durante la guerra. Roma infatti non aveva insediamenti militari di rilievo, tanto che gli americani per giustificare i bombardamenti dissero che si erano intesi colpire gli snodi ferroviari. Ma, come Winston Churchill aveva detto già nel 1941, Roma era un simbolo, e inoltre doveva pagare l’alleanza con Hitler. Concetti condivisi e ribaditi anche da Roosevelt in più di un’occasione. Obiettivo marginale Roma, ma che tuttavia non fu trascurato. Che si sia trattato solo di un gesto simbolico lo prova il fatto che tutti gli aerei avevano la mappa di Roma dove erano tracciati ben visibili i confini del Vaticano e altri luoghi, su cui spiccava la scritta “No bombing area”. In quello stesso giorno, il 13 agosto, Torino subiva la sua 24ma incursione aerea e Milano era attaccata da oltre mille bombardieri dei “liberatori”.

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