Mafia Capitale, ecco che Buzzi si pente e scrive a Papa Francesco

1 Lug 2015 12:28 - di Redazione
Mafia Capitale

Attenzione: Salvatore Buzzi si pente. E lo fa scrivendolo nero su bianco direttamente a Papa Francesco. Il ras delle cooperative rosse romane al centro dell’inchiesta Mafia Capitale pare sia  stato toccato al cuore dall’invocazione di Sua Santità contro corrotti e corruttori. E perciò si pente, Buzzi. Si pente e ribadisce di non essere mafioso, ma solo uno che con un po’ di soldi oliava ingranaggi amministrativi e politici: all’inizio contro la sua volontà, poi per interesse. Si pente, ma ancora non spiega bene. E non spiega tutto. E chissà perciò se quello che ancora non ha voluto o potuto dire ai magistrati non possa perciò raccontarlo in qualche ulteriore missiva indirizzata Oltretevere. “Dichiaro la mia totale adesione al Suo invito alla conversione”. E’ quanto scrive appunto l’ex presidente della cooperativa “29 giugno” in carcere a Nuoro, in una lettera inviata a papa Francesco nella quale afferma di aver accolto l’invito del Pontefice ai fautori o complici di corruzione contenuto nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia. La lettera che Buzzi ha inviato a Bergoglio dal carcere sardo di Badu ‘e Carros, aiutato nel suo percorso dal cappellano don Giampaolo Muresu e dal vescovo di Nuoro monsignor Mosè Marcia, sarà pubblicata da “L’Ortobene”, il settimanale della diocesi di Nuoro, nel numero che uscirà domani mattina, ed è stata anticipata oggi dal Sir, agenzia promossa dalla Cei.

Buzzi racconta di corruzione

“Seguendo la via tracciata dalla Misericordi Vultus – scrive Buzzi -, dichiaro la mia totale adesione al Suo invito alla conversione, ‘unita al coraggio della denuncia’ perché la corruzione ‘impedisce di guardare al futuro con speranza ed è un accanimento nel peccato’. Mi auguro e spero di non essere il solo”. Nella lunga missiva l’ex ras delle cooperative coinvolte nel maxi-scandalo di Mafia Capitale, racconta la sua storia personale, intrecciata a quella delle cooperativa, cresciuta a tal punto da diventare, come sottolinea, una eccellenza sociale e lavorativa. “Dal 2010 – denuncia Buzzi in un passo della lettera – iniziammo ad avere richieste varie di utilità da parte di funzionari ed amministratori: facemmo un esposto alla Procura di Roma ma non ci fu seguito, tentammo anche la via della denuncia politica, ma anche questa via non portò risultati. Ed allora io in prima persona cedetti a queste richieste: moralmente giustificavo il mio agire con il classico ‘fine che giustifica i mezzi'”. “Tali richieste – prosegue – si sono poi accentuate con gli anni e con il crescere della cooperativa io continuavo a giustificare il mio operato con il fatto di creare occupazione per tante persone che altrimenti non avrebbero mai trovato lavoro. Da vittima divenni pian piano complice di un sistema corruttivo cresciuto sempre di più, sia a livello politico che amministrativo”. Dal carcere di Nuoro, Buzzi condanna la violenza mediatica di cui si è sentito vittima, in particolare per l’uso di una intercettazione scovata nelle 60 mila pagine dell’inchiesta. Quanto all’accusa di essere braccio operativo di un’associazione di stampo mafioso, scrive: “Sono consapevole di dover affrontare la giustizia terrena e mi adopererò per chiarire le mie colpe e contrastare per quanto è nelle mie possibilità i fenomeni corruttivi mi difenderò dalla accusa ingiusta di mafia”.

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