L’italiano che evase dalla prigione inglese per scalare il Monte Kenya

4 Lug 2015 16:58 - di Antonio Pannullo
Felice Benuzzi e la copertina del suo libro

Quella di Felice Benuzzi, scomparso a Roma il 4 luglio del 1988, è una storia che merita di essere raccontata, perché conferma che in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale vissero e operarono personaggi eccezionali, che dettero lustro e prestigio alla nostra nazione. In realtà gli sportivi, ma soprattutto gli alpinisti, la storia di Benuzzi la conoscono benissimo, ma sono le circostanze dell’impresa che la rendono eccezionale quanto non abbastanza nota proprio nella sua patria. Benuzzi e altri due compagni di prigionia evasero da un Fascist Criminal Camp inglese in Kenya allo scopo di scalare il Monte Kenya. Compiuta l’ascesa, Benuzzi e i suoi compagni si riconsegnarono al campo suscitando anche l’ammirazione dei loro carcerieri, che ne lodarono ufficialmente «l’impresa sportiva». Ma partiamo dall’inizio, ossia sulla biografia di Felice Benuzzi. Nacque a Vienna nel 1910 da padre italiano e madre austriaca, ma crebbe a Trieste. Giovanissimo, fu coinvolto dalla passione per l’alpinismo, disciplina che praticò sempre insieme al nuoto, sport nel quale conseguì anche prestigiosi risultati. Nel 1934 si laureò in Giurisprudenza a Roma. Iscritto al Partito nazionale fascista, entrò nell’amministrazione coloniale italiana e nel 1939 venne destinato ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, allora Africa Orientale Italiana. Ma nel 1941 le truppe inglesi invasero l’Etiopia e Felice Benuzzi, insieme a migliaia di altri italiani fu internato nei famigerati campi del Kenya, allora colonia di Sua Maestà, diventando così un Pow (prisoner of war). Nel 1943 Benuzzi si trova nel Campo 354 di Nanyuki, che è proprio al centro del Kenya. Però è a due passi da Monte Kenya, che è la vetta più alta del Paese (5.199 metri) e la seconda più alta del continente dopo il Kilimangiaro. Non lontano c’era anche il noto campo 359 di Burguret, dove gli inglesi avevano concentrato i fascisti irriducibili, che «non avevano bisogno di cure» e dove venivano frustati spesso e volentieri con una verga fatta di pelle di ippopotamo. Fu in quel campo che Benuzzi iniziò a progettare e pianificare l’evasione, vista più come una conquista dello spirito e un simbolo di libertà che come un’infrazione, non per tornare in Italia, ma solo per scalare il Monte Kenya, da vero sportivo qual era. Trovò anche due compagni per questa incredibile avventura: Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti, anche loro appassionati di alpinismo.

L’impresa fu raccontata nel suo libro “Fuga sul Kenya”

Nel suo successivo libro, Fuga sul Kenya. 17 giorni di libertà, Benuzzi descrisse con sapida vivezza l’intera avventura, suscitando l’ammirazione e la curiosità non solo degli inglesi, ma anche dei suoi compatrioti. Le attrezzature di fortuna, le piccozze ricavate in modo artigianale, i ramponi fatti a mano, tutto l’equipaggiamento comprato a suon di sigarette all’interno del campo. Benuzzi aveva persino smesso di fumare per poter mettere da parte le sigarette che l’amministrazione inglese passava ai Pow. Una notte i tre uscirono dal campo lasciando un biglietto in cui spiegavano le loro intenzioni e la promessa di riconsegnarsi e si diressero verso la sconosciuta montagna. In breve, tra mille difficoltà, i tre non riuscirono a raggiungere proprio la vetta per i numerosi ostacoli insorti, ma piantarono la bandiera italiana sulla Punta Lenana, che è poco al di sotto (4985 metri), insieme con un messaggio in una bottiglia. Tornati, tra altre mille avventure, tra cui un incontro con un leopardo, un rinoceronte e un elefante, i tre si riconsegnarono, trascorsero i canonici 28 giorni di cella di rigore, ma poi furono acclamati da tutti, e l’amministrazione inglese si complimentò ufficialmente con loro per quella grande impresa sportiva. Se c’è una cosa che gli inglesi apprezzano, è lo spirito di avventura e il coraggio. E a Benuzzi non mancavano. Il libro in italiano uscì nel 1947, ma ben presto fu tradotto in numerose lingue e divenne un autentico best seller. Benuzzi lo scrisse nel 1946 in inglese, col titolo No Picnic on Mount Kenya. Dal libro sono state prodotte una fiction e un film, ma negli Stati Uniti, in Italia niente, a riprova della miopia del nostro Paese quando si tratta di onorare i suoi eroi. Sulla bellissima vicenda è stato poi scritto un libro collettivo, Point Lenana, pubblicato nel 2013, nel quale si racconta la vita di Felice Benuzzi tra storia e romanzo. Gli autori nel 2010 hanno anche ripercorso il tragitti che fecero Benuzzi e i suoi compagni. Di questi compagni di avventura si sa poco: Balletto, il medico, detto Giuàn, morì in Africa, mentre dell’altro, Barsotti, non si è mai saputo più nulla. Tornando alla vita di Benuzzi, nel 1948 entrò in diplomazia, venendo poi destinato a Parigi, in Australia, in Pakistan, a Berlino (negli anni della Guerra Fredda), ancora a Parigi, per poi terminare la carriera in Uruguay nel 1976. Ma anche in pensione, Benuzzi non era tipo da stare in pantofole: tra i suoi numerosi e importanti incarichi, ricordiamo solo che fu tra i padri fondatori di Mountain Wilderness, l’associazione ambientalista internazionale per la protezione della montagna nel mondo.

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