Cara Bindi, l’Antimafia non può avere due pesi e due misure

14 Lug 2015 18:50 - di Francesca De Ambra

«Desta particolare preoccupazione il coinvolgimento nell’indagine di un deputato, vicepresidente della Commissione Giustizia e membro Commissione parlamentare Antimafia». Sono parole di Rosy Bindi, presidente dell’Antimafia. Il deputato in questione, invece, è il forzista Carlo Sarro cui la stessa Bindi ha rivolto un pubblico invito affinché «valuti l’opportunità di presentare immediatamente le dimissioni» dalla commissione. Invito da condividere senza indugio e speriamo subito raccolto dal diretto interessato. Non è infatti opportuno che un esponente politico accusato (al momento è solo un’ipotesi) di aver agevolato un clan di camorra, possa a sua volta interessarsi di cose di mafia sedendo in un organismo che può esercitare poteri d’indagine, secretare atti e sentire testimoni.

La Bindi ha sollecitato Sarro (Fi) a lasciare la Commissione

Ciò premesso, va aggiunto che Rosy Bindi sarebbe stata molto più credibile in questa sua sacrosanta difesa delle istituzioni se solo pochi giorni fa – con analogo tempismo e medesima determinazione – avesse invitato l’ex-senatore Pci-Pds-Ds-Pd ora Idv, Lorenzo Diana, a restituire (momentaneamente) il “premio Borsellino,  assegnatogli nel 2008, dal momento che la Dda di Napoli (la stessa che ha incriminato Sarro) lo ha iscritto nel registro degli indagati con l’accusa (anche in questo caso, solo ipotizzata) di essere un concorrente esterno del clan Iovine, aderente al cartello dei Casalesi.

Ma a Diana (Idv) non ha chiesto di restituire il “Premio Borsellino”

Certo, qualcuno potrà obiettare che la Bindi è intervenuta nella sua qualità di presidente dell’Antimafia al solo scopo di tutelare la commissione dalle polemiche che la presenza di un suo membro inquisito inevitabilmente scatenerebbe, minandone la serenità e la funzionalità. Ed è ero, ma è altrettanto vero che di tutto si può accusare la Bindi tranne che di avere una visione burocratica della politica o una concezione formale del proprio ruolo. E si può giurare che nessuno – a destra o a sinistra – avrebbe eccepito alcunché se anche sulla vicenda che vede coinvolto l’ex-senatore Diana la pasionaria nazionale avesse battuto un colpo di quelli suoi chiedendogli, appunto, di rinunciare al premio fintanto che durano le indagini. Sarebbe stato il segnale che la lotta alla mafia non ha bandiere politiche né garantisce, ad icone anti-clan vere o presunte, rendite di posizione. Peccato che la Bindi abbia deciso di non darlo.

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