Il Veneto del ceto medio boccia il jobs act: per Renzi è allarme rosso

1 Giu 2015 16:10 - di Aldo Di Lello

Il risultato del Veneto è quello che dovrebbe  preoccupare maggiormente Renzi. Il motivo è semplice: è proprio il Veneto la regione in cui si può capire, meglio che altrove, il gradimento dell’elettorato della politica economica del governo. È  qui il test più significativo per il jobs act, per gli 80 euro in busta paga e per gli altri provvedimenti contenuti nella manovra economica dell’esecutivo. È il Veneto, infatti, la regione più ricca tra quelle in cui si è votato, là dove si registra  la maggiore concentrazione di imprese, grandi medie e piccole. È qui che vive e lavora a quel ceto medio produttivo che il Pd renziano vorrebbe conquistare e portare dalla sua parte, per farne la base sociale del futuribile “partito della nazione”. Ebbene, è proprio in questa regione che il Pd, con Alessandra Moretti, ottiene il risultato più deludente: un misero 22,75 % , surclassato dal centrodestra guidato da Luca Zaia. Una vera figura barbina per Renzi. E questo al netto dei fattori locali e della debolezza della sua candidata. Fatta tutta la tara che va fatta, quel 22 e passa per cento rappresenta un vero campanello d’allarme per largo del Nazareno, perché va ben al di là dei numeri previsti pur nella scontata vittoria di Zaia.  È la dimostrazione più eclatante del fatto che il Pd  renziano, non solo non “sfonda” a destra, non solo è  lontano dall’essere percepito come il “partito della nazione”, ma si contrae e si riduce: perde e a sinistra (e la Liguria ne  è la dimostrazione più clamorosa)  e non conquista alcunché a destra. È inutile, a questo punto, che Renzi e gli alti dignitari del Pd scarichino tutte le colpe sulla povera Alessandra. Piaccia o non piaccia, una componente non lieve del voto alle regionali è un voto d’opinione. E l’opinione espressa dal Veneto  dimostra  che le promesse di Renzi sono percepite come una bufala dalle componenti più dinamiche dell’elettorato.

E dire che un anno fa, proprio in Veneto…

A ulteriore riprova di questo discorso, conviene confrontare il dato odierno del Veneto con quello delle europee dello scorso anno. Fu proprio in questa regione che, a differenza di oggi, il Pd colse un clamoroso successo. Si parlò addirittura di «risultato storico». Le foto di una Moretti trionfante e sorridente erano l’emblema di un Pd lanciato alla conquista del Nordest. Ecco, tanto per fare un esempio, con quale trionfalistica prosa la testata on line Lettera 43 salutava il successo del Pd in Veneto. «Il Veneto non si era mai trovato così a “sinistra” sullo scacchiere politico. Le urne delle Europee riescono nel prodigio per il Pd: gli fanno conquistare la regione più di centrodestra del Paese. Il partito di Matteo Renzi, scelto stavolta anche dal ceto medio, arriva al 37,5% e compie uno storico sorpasso sugli avversari di Forza Italia (14,7%) e Lega (15,2%), che insieme non superano il 30%. Mai qui gli eredi di Botteghe Oscure erano stati il primo partito. Inarrestabile onda renziana. Il merito – ammettono tutti – è  dell’effetto Renzi, cioè dei primi mesi di governo del segretario più post-comunista che il Pd abbia avuto». Era il 26 maggio del 2014, appena un anno fa. Sic transit gloria mundi. Il Veneto dimostra che l’onda renziana si sta ritirando. Le bufale, come le bugie, hanno le gambe corte.

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