Ecco perché il Pd difende Marino e Zingaretti: una nuova ragion di Stato

11 Giu 2015 18:38 - di Tano Canino

Dev’essere la ragion di Stato. Mafia capitale sembra ormai è passata da cronaca di criminalità e malcostume politico a ragion di Stato vera e propria. Noi l’abbiamo intuito da un pezzo: indagini, malaffare, mazzette e tutto il marcio emerso non basta, non è bastato e non basterà a sciogliere il comune di Roma. Ignazio Marino rimane e rimarrà abbarbicato alla sua poltrona di sindaco. Così come Nicola Zingaretti rimane e rimarrà incollato alla sua poltrona di governatore del Lazio. Perché questa ragion di Stato riporta ad una nuova equazione: non sanno né mai hanno saputo né avrebbero potuto sapere. Perché i personaggi coinvolti delle rispettive amministrazioni, per quanto vicini, hanno fatto tutto a loro insaputa. Non potevano sapere anche se tutto accadeva davanti a loro. Eccola la moderna versione dell’antica ragion di Stato. Una ragione che, parafrasando il poeta, la ragione stessa non può capire, ma che nella fattispecie si sposa perfettamente con la più prosaica ragion di partito. Partito nel senso di Pd, il partito di Renzi affidato a Roma alle cure di Orfini. Il quale naturalmente del marcio emerso se ne è accorto alla lettura degli atti. Perchè lui da segretario di sezione e collaboratore di d’Alema mai ne aveva avuto il benchè minimo sentore. Ovviamente. Evidentemente. Perchè è assai più facile ed anche più comodo accorgersi della pagliuzza nell’altrui occhio che vedere la trave conficcata nel proprio. È la ragion di Stato, miei cari. Perché  solo se é qualcuno degli avversari ad essere lambito da una indagine lo si può serenamente crucifiggere. Perchè solo se la cacca arriva in testa ad una amministrazione comunale o regionale di destra si sente la puzza e perciò si deve chiederne le dimissioni. Altrimenti c’è lo scudo della presunzione di innocenza. Del non poteva sapere. Che, per l’appunto, è la nuova ragion di Stato. Cosicché, è sufficiente convocare una bella conferenza stampa,  annunciare che si farà l’ennesima pulizia oppure, come ha appena fatto l’Orfini,  che si dimezzeranno le commissioni capitoline da 24 a 12. E cercare di salvare il sederino non solo e non tanto a Marino e a Zingaretti, ma all’intero Partito democratico romano. Che in caso di voto anticipato allora sì che, alla faccia della ragion di Stato, verrebbe azzerato. Dal voto popolare.

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