Delitto Fragalà: un nuovo pentito accredita la pista mafiosa

5 Giu 2015 17:33 - di Redazione

Potrebbe arrivare da un nuovo pentito, Francesco Chiarello, ex estortore del clan mafioso di Borgo Vecchio, una parola definitiva sul delitto Fragalà. Resta infatti ancora senza colpevoli la morte del deputato di An e penalista palermitano Enzo Fragalà, massacrato a bastonate il 26 febbraio 2010, a due passi dal tribunale, e morto alcuni giorni dopo in ospedale. Il neo collaboratore di giustizia, che gestiva il racket per conto della cosca, avrebbe rivelato agli inquirenti il suo ruolo nella fase preparatoria dell’aggressione e confermato le responsabilità nell’omicidio di Francesco Arcuri, Salvatore Ingrassia e Antonio Siragusa, già arrestati per il delitto nel 2013, e del boss Tommaso Di Giovanni ritenuto il mandante. Il gip, a gennaio scorso, su richiesta della stessa Procura di Palermo, ha archiviato l’inchiesta a carico dei tre presunti killer, peraltro già scarcerati dal tribunale del riesame, del capomafia, che resta detenuto, e di altri indagati. Nell’ordinanza che ha chiuso il caso il giudice ha parlato di «un quadro indiziario frammentario, equivoco e complessivamente insufficiente».

Delitto Fragalà: l’allarme del Sisde

Una relazione dei servizi segreti del 2002 inserì il nome del parlamentare di An Enzo Fragalà nella lista dei legali a rischio di attentati mafiosi: la nota del Sisde, guidato allora dal generale dei carabinieri Mario Mori e acquisita agli atti dell’inchiesta sul brutale assassinio del penalista era tornata d’attualità dopo le dichiarazioni rese nel 2012 alla commissione Antimafia da Sebastiano Ardita, ex responsabile detenuti del Dap, poi procuratore aggiunto a Messina. Anche nel suo libro sulla trattativa tra Stato e mafia e sul ruolo del carcere duro nel ”patto” stretto tra pezzi dello Stato e Cosa nostra Ardita parla del delitto Fragalà. Per il magistrato potrebbe esserci un’analogia tra l’anno della nota dei Servizi, il 2002, e il 2009. Nel 2002 venne approvato un ddl per estendere all’intera legislatura la durata del 41 bis e dalle carceri i detenuti di mafia mandarono strani messaggi parlando di promesse non mantenute da parte di politici e lamentando di essere stati lasciati soli da alcuni «avvocati meridionali passati in Parlamento». Nel febbraio del 2009, pochi giorni prima del delitto, venne ulteriormente inasprito il regime carcerario duro.

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