Lo sprint di Cameron: governo e referendum. E l’Ue prepare la “diga”

9 Mag 2015 9:48 - di Elsa Corsini

Dopo la schiacciante vittoria dei conservatori britannici con la conquista di 331 seggi su 650, David Cameron si appresta a formare un nuovo governo da solo, forte di una maggioranza assoluta che gli consente di procedere sulla strada del referendum sulla presenza della Gran Bretagna in Europa. «Ho già visto la Regina, formerò il nuovo governo», ha detto il leader conservatore a scrutinio ancora in corso. Cameron procede a tappe forzate e ha già avviato i lavori per la formazione della nuova squadra di ministri annunciando la conferma immediata del fedelissimo George Osborne nell’incarico chiave di cancelliere dello Scacchiere, responsabile della politica economico-finanziaria.

Cameron e il referendum

Referendum avanti tutta: la consultazione popolare per decidere il destino europea di Londra del resto era stata una promessa solenne fatta da Cameron nel 2013 per placare le richieste dell’ala anti-europea del suo partito anche per tagliare l’erba sotto i piedi degli indipendentisti dello Ukip, il partito populista che ha fatto della “Brexit” la propria bandiera. E l’operazione ha pagato come dimostrano i flussi elettorali che hanno portato alla sconfitta e alle dimissioni di tutti gli altri leader.

La contromossa dell’Ue

In meno di ventiquattr’ore è partita la controffensiva di Bruxelles per evitare il peggio. L’idea di Cameron è chiarissima: ottenere importanti concessioni dai partner europei per rinazionalizzare una serie di politiche che ora sono decise in sede Ue, a partire da quella sulla libera circolazione delle persone che ha creato molti risentimenti da parte delle classi popolari per la forte immigrazione di lavoratori dall’Est europeo, accusati anche di fare welfare shopping. Juncker ha detto di voler incontrare Cameron «al più presto perché abbiamo molte cose da dirci» e ha promesso che si impegnerà ad offrirgli un fair deal (un buon accordo) anche se il premier britannico si è opposto fino alla fine alla sua nomina come presidente della Commissione ritenendolo “troppo filo-europeo”. Ma i veri ostacoli alle richieste britanniche verranno dalle altre capitali europee: Berlino e Parigi in primo luogo.

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