Istat, in due milioni e mezzo di famiglie lavorano solo le donne

20 Mag 2015 11:18 - di Giorgia Castelli

La quota di famiglie in cui la donna è l’unica ad essere occupata “continua ad aumentare”. Lo rileva l’Istat nel suo ultimo Rapporto annuale. Nel 2014 la percentuale ha raggiunto il 12,9%, pari a due milioni 428mila nuclei. Ci si fermava al 12,5% nel 2013 (due milioni 358mila). Nel 2008 erano invece solo il 9,6% (un milione 731mila).  L’Istat rileva anche che i tempi per trovare un’occupazione diventano sempre più lunghi. La crisi ha trasformato la disoccupazione in una “trappola” da cui è difficile uscire: in Italia, dati aggiornati al 2014, chi è «alla ricerca di un’occupazione lo è in media da 24,6 mesi», cioè da oltre due anni, e «da 34 mesi se ricerca il primo impiego».

Istat, in molti rinunciano a trovare un lavoro

A confronto con l’anno precedente, infatti, la durata media della disoccupazione è aumentata di 2,3 mesi (quasi tre mesi per chi cerca la prima occupazione). Tanto che, sottolinea sempre l’Istat nel Rapporto annuale, l’incidenza dei disoccupati di lunga durata sul totale supera il 60 per cento. Insomma, trovare un posto appare impresa di non poco conto, ecco che in tanti ci rinunciano, almeno stando ai dati sul 2014, con l’Istat che conta oltre due milioni di scoraggiati tra il totale degli inattivi (15-64anni). In quadro è molto sconfortante. In Italia il tasso di occupazione si ferma al 55,7%, «valore molto lontano dalla media del continente», tanto che raggiungere un tasso «pari a quello medio degli altri paesi dell’Ue significherebbe per il nostro Paese un incremento di circa tre milioni e mezzo di occupati».

Un lavoratore su dieci è irregolare

Inoltre risulta irregolare più di un occupato su dieci. L’Istituto stima due milioni e 300mila di irregolari. Inoltre, oltre una famiglia su dieci si trova in grave disagio, nell’impossibilità di sostenere spese per determinati beni o servizi. Secondo l’Istat c’è un calo dell’indicatore di grave deprivazione materiale all’11,4% nel 2014 dal 12,4% del 2013. Il disagio colpisce soprattutto i genitori soli, le famiglie numerose o con disoccupati.

Troppi squilibri regionali sulla sanità

Non solo, ci sono anche troppe differenze regionali nella sanità: complessivamente arriva a 9,5% la quota di persone costrette a rinunciare ad una prestazione sanitaria, percentuale che scende al 6,2% nel Nord-ovest e sale al 13,2% nel Mezzogiorno. «Il grado di soddisfazione espresso dai cittadini per il Ssn, soprattutto per quanto riguarda l’accessibilità ai servizi, è più basso fra i residenti del Mezzogiorno, ad eccezione di alcune realtà della Puglia e della Sardegna, a conferma di una variabilità intra-regionale già evidenziata in precedenza». Questi squilibri, secondo l’Istat, possono essere alla base del deficit finanziario delle Regioni e della difficoltà delle stesse a garantire i livelli essenziali di assistenza, previsti dal titolo Quinto della Costituzione e dal decreto legislativo sul federalismo fiscale. Un’altra componente dell’equità è l’accessibilità alle cure, valutata con la quota di persone che hanno rinunciato a una prestazione di cui aveva bisogno, un aspetto particolarmente critico nel Mezzogiorno ma anche in alcune aree del Centro-nord.

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