Veneziani e iI testamento del Duce a 70 anni dalla “macelleria dei corpi”

28 Apr 2015 15:34 - di Redazione

Pubblichiamo ampi stralci di un articolo a firma di Marcello Veneziani, sui 70 anni della morte di Benito Mussolini, tratto da un libretto fuori commercio pubblicato in 500 esemplari edito dagli Amici dell’Osteria al Pescatore col titolo Sotto le stelle sull’Isola di Trimelone

Settant’anni fa Piazzale Loreto, la macelleria dei corpi. Ci sarebbero tante ragioni per tacere, per affidarsi  al silenzio e distogliere lo sguardo… Ma quando mi hanno chiesto di scrivere una prefazione al Soliloquio in libertà di Mussolini non sono riuscito a sottrarmi, benché più comodo. Mi è riapparsa intera la storia del novecento italiano, la speranza e l’illusione di una generazione che fece il fascismo e la speranza e l’illusione di una generazione che poi lo disfece e in molti casi era la stessa. Ho rivisto la storia in tutta la sua pienezza tragica e feroce, grande e vigliacca, in epoca di carestia storica. Ho ritrovato i miei quindici anni, proteso a scoprire il tema proibito, la storia che non si poteva dire, il nome che non si poteva pronunciare, lo scempio che non si poteva ricordare, neanche con una messa in suffragio. E la voglia di svelare, l’audacia di andare contro il corso  del tempo e della corrente, di raccontare la verità contro tutti, in faccia al vento, fascisti a babbo morto e a viso aperto… E poi perché, ripensandoci, non sono riuscito  a distogliere lo sguardo della mente da quei corpi sfasciati, ridotti a cartoni smembrati, una donna stuprata  accanto al suo uomo che aveva perso il volto…

Il testamento politico del Duce

Da giovane, curai gli scritti e discorsi  di Mussolini, e l’ultimo dei diciotto  volumi si chiamava Testamento politico.  Tra quegli scritti c’era anche quel Soliloquio, raccolto dal giornalista Ivanoe Fossani, che risale al 20 marzo del 1945, quaranta giorni prima di Piazzale Loreto. Scrisse la prefazione Vittorio Mussolini, il suo primogenito, che sottolineò l’ossessiva protezione tedesca. Nel soliloquio Mussolini non si riteneva il creatore del fascismo ma l’ostetrico o, per dirla con Socrate, il maieuta… È bello il titolo leopardiano che fu dato al soliloquio di Mussolini quando fu pubblicato sette anni dopo la sua uccisione, da un editore romano, Latinità: Mussolini si confessa alle stelle. È la solitudine stellare la chiave di questa confessione. È la notte in cui Mussolini dice di tornare  a se stesso dopo essere stato in balìa di sorveglianti, spiato per conto di Hitler, con la scusa di essere protetto.  Ma è bello, dice l’ex duce, parlare a nessuno dopo aver parlato a folle oceaniche… È un Mussolini postumo, oltre la politica, oltre la guerra, oltre il fascismo stesso… C’è qualcosa di napoleonico nei suoi pensieri estremi, l’isola di Trimellone gli ispira similitudini con l‘Elba e Sant’Elena. Attribuisce i riti e la liturgia politica del fascismo alla volontà di compiacere il «lato  pittoresco degli italiani». Sottolinea la mutevolezza degli italiani, il suo tentativo di farne un popolo… Difende la sua dittatura come «lieve», più lieve di certe democrazie… Difende i soldati italiani, dicendo che il nostro guaio fu come sempre lo Stato Maggiore, i vertici… Poi sostiene che si legò a Hitler perché costretto dall’ottusa ostilità di Francia e Inghilterra, di cui prevede la fine  dell’impero. Confessa che aveva dichiarato guerra perché l’Italia non può restare neutrale, e poi si doveva frenare «l’ingordigia tedesca»… Non si pente di aver fatto del bene agli avversari, si pente invece della diarchia col Re e di essersi circondato di dipendenti  più che di collaboratori. Il fascismo gli appare rovinato dallo spirito borghese; la sua via era il corporativismo. E infine l’avvenire: i fascisti del futuro dovranno agire con sentimento, non con risentimento, dice, per agevolare una revisione storica. «Non mi processeranno, perché sanno che da accusato diveterei pubblico accusatore, mi uccideranno e poi diranno che mi sono suicidato, vinto dai rimorsi».

«Io darei la vita anche ora, spontaneamente»

E infine indica come una sibilla un misterioso «punto di fusione», una specie di kairos del popolo italiano, per il quale, dice, «io darei la vita anche ora, spontaneamente»… Quel richiamo ai fascisti che verranno dopo, non ancora nati, infiammarono il romanticismo neofascista dei posteri. Ora che anche quello strascico di fascismo è stato sepolto dal tempo e dagli eventi, ora che sono trascorsi settant’anni e anche i diritti d’autore sono scaduti, è tempo di guardare a quella tragedia senza veleni passionali e conati politici.  Ma con la distanza siderale di un evento storico legato a un tempo che non è più il nostro. E con la pietas che si addice all’epos di una tragedia… Su quegli eventi, prima di depositarsi  la polvere della dimenticanza, aleggia la poesia, il ricordo di quell’aprile atroce… Settant’anni, l’oblio e l’eternità.

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