Storace: «Mattarella faccia un bel gesto, porti un fiore a Piazzale Loreto»

25 Apr 2015 10:13 - di Franco Bianchini

«Dal presidente della Repubblica mi attendo un gesto, un fiore a piazzale Loreto, per dire che la guerra è finalmente finita e che la stagione dell’odio va definitivamente archiviata». Lo scrive Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra e vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio. «Ma – prosegue Storace – ci deve essere un virus al Quirinale, che impedisce di cogliere il significato dell’espressione “riconciliazione nazionale”. Cambiano i Presidenti, ma non cambia nulla nella retorica dell’anniversario del 25 aprile».

 Storace: la pagella sulle parti giuste e sbagliate non hanno senso

«Non bastano frasette gettate lì, anche se possono apparire un atto di eroismo verbale nell’Italia infestata dai professionisti dell’antifascismo militante, talvolta – come a Roma e nel Lazio – vestiti persino con casacche istituzionali. Riconciliare – aggiunge Storace – significa rispettare: mi chiedo che senso abbia, dopo 70 anni, la pagella sulle parti giuste e sbagliate. Resta comunque la tragedia di una guerra civile fra italiani. E quando si parla di “episodi gravi” a proposito della Resistenza, riferendosi ad essi come tradimenti degli “ideali originari”, viene da chiedersi se in questi rientra la giustizia sommaria, l’assassinio invece del processo a Mussolini. Ecco – continua Storace – chiedere a Mattarella un fiore per piazzale Loreto non è mettere in discussione la democrazia, rispetto al totalitarismo, in un Paese, poi, come il nostro nel quale autonomia e sovranità sono concetti perduti, come insegna bene la tragedia di Lo Porto e il gioco sporco dell’Amministrazione Usa verso il nostro Paese “libero”. Ma all’Italia non servono quelli che giudicano gli uomini in base alle scelte maturate in una guerra che contrappose gli uni agli altri. Marino che nega una strada ad Almirante – conclude Storace – Zingaretti che fa stalking istituzionale sul comune di Affile per il museo Graziani; sono davvero figli di una stagione che auspicavamo fosse finita».

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