Ramelli, su facebook l’oltraggio del braccio destro di Pisapia

30 Apr 2015 8:20 - di Redattore 89
ramelli limonta manifesti

Sorride soddisfatto, Paolo Limonta. E, come un qualsiasi gruppettaro che si compiace della sua bravata, condivide su facebook la foto che lo ritrae mentre tiene in mano, come un trofeo, i manifesti strappati in ricordo di Sergio Ramelli. «Fatto….», ha scritto sopra, in modo che sia chiaro che non li ha trovati per terra. Il punto è che questo signore di 57 anni, che nelle informazioni personali scrive di essere maestro elementare, non è affatto un qualsiasi gruppettaro. È, invece, considerato il braccio destro di Pisapia. Uno che, dopo essersi dato molto da fare durante la campagna elettorale, ha ottenuto l’incarico di responsabile del Comune per le relazioni con la cittadinanza. Incarico che, benché si stenti a trovarne traccia sul sito di Palazzo Marino, risultava ricoprire ancora almeno fino al 10 marzo scorso, quando con quel titolo ha portato i saluti del Comune a un evento sulla scuola realizzato in collaborazione con l’amministrazione.

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Il clima di tensione a Milano

La foto è stata postata il 28 aprile, alle 11.59: era la vigilia del 40esimo anniversario della morte di Ramelli, ammazzato a colpi di chiave inglese in testa da militanti della sinistra extraparlamentare, e si sapeva da un pezzo che nella notte i nuovi campioni dell’antifascismo avevano dato fuoco alla libreria Ritter e devastato le sedi di Ugl e Forza Nuova. Se non la pietà per quella vittima innocente, Limonta avrebbe dovuto avere almeno il buon senso di capire che un atto così irrispettoso, in questo clima, finisce per spalleggiare i violenti, perché se non si ha rispetto per i morti, figurarsi se bisogna averne per i vivi. Non esattamente l’atteggiamento che ci si aspetterebbe e si auspicherebbe da uno che va in giro a rappresentare l’amministrazione comunale. Non pago, Limonta ha anche annunciato la sua presenza «alla manifestazione contro l’adunata nazifascista che si riunirà dalle parti di piazzale Susa», ovvero la commemorazione per Ramelli.

Una strana idea di “relazione con la cittadinanza”

Davvero Limonta dimostra uno strano concetto di “relazione con la cittadinanza”, a meno che non si voglia accettare l’idea che a Sergio Ramelli e a chi ne mantiene viva la memoria non si possa riconoscere lo stato di cittadini. In fondo, c’è chi lo pensa e lo dice: fuori i fascisti dalle città. È il primo passaggio logico per poi arrivare a dire che uccidere i fascisti non è reato e che dare fuoco alle loro sedi o alle librerie non allineate è un atto rivoluzionario. È la cornice in cui viene in mente di rivendicare come un fatto di cui vantarsi oltraggiare la memoria di un ragazzo ucciso, strappando i manifesti che lo ricordano e ridendone con soddisfazione.

Pisapia non ha nulla da dire?

Dev’essere sfuggito a Limonta, però, che anche il sindaco Giuliano Pisapia è stato tra quelli che hanno reso omaggio a Ramelli. Che quel Comune che lui va in giro a rappresentare l’ha già riconosciuto come cittadino e che questo è stato un passaggio sofferto, una conquista donata a Milano e all’Italia (Ramelli è anche nella lista delle vittime del terrorismo stilata qualche anno fa dal Qurinale) da quelli che i soggetti come Limonta vorrebbero vedere ricacciati “nelle fogne”. Si può dire? Noi lo diciamo: per quello che significa quella foto di Limonta è indegna, ma sarebbe ancora più indegno se passasse sotto silenzio. Pisapia, che fu difensore degli assassini di Ramelli, oggi ha il dovere, non l’opportunità, di confermare che il suo omaggio alla memoria di questo giovane milanese non fu di maniera: dica qualcosa su questa vicenda, col suo silenzio non dia coperture a chi vorrebbe di nuovo “quella” Milano. Non è più tempo di “compagni che sbagliano”.

Post scriptum

Nel frattempo la foto è stata rimossa. Da facebook, non da Limonta, che in un post successivo giustifica il fatto di aver «staccato» quei manifesti perché erano abusivi. Un improvviso legalitarismo (Limonta è stato tra i difensori, per esempio, delle occupazioni abusive dei compagni), che non vale nemmeno la pena commentare.

 

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