L’accusa di Finkielkraut: attenta Europa non odiare le tue origini…

15 Apr 2015 15:10 - di Gloria Sabatini

“Romanticismo  verso gli altri e arrendevolezza della cultura europea”, che è diffidente della sua stessa eredità storica. La tesi del filosofo francese Alain Finkielkraut, filo portante del suo ultimo saggio L’identité malhereuse (L’identità infelice), pubblicato in Italia dopo la strage di Charlie Hebdo,  mette la parola fine a qualsiasi caramellosa utopia sull’integraziome europea e sul buonismo planetario.

Finta integrazione

Ospite nel centro culturale di Milano per una conferenza, lo scrittore, membro dell’Accademie française, conferma la sua analisi sulla fragilità dell’Occidente di fronte alla grandi sfide della globalizzazione.«Anche io sono figlio di immigrati polacchi, abbiamo beneficiato di una naturalizzazione collettiva quando avevo un anno – racconta al Giornale – sono  andato a scuola in un periodo di assimilazione, ma quella assimilazione non m’imponeva di fondermi nella massa, di sacrificare la mia identità ebrea». Tra i più severi critici della modernità e del progressismo, Finkielkraut denuncia che oggi «questa assimilazione si rifiuta sia agli autoctoni sia agli stranieri», e, quel che è peggio, la cultura viene espulsa dalla scuola. «Non sono aprioristicamente ostile all’ospitalità – spiega l’intellettuale francese che ha scoperto la sua identità europea leggendo negli anni 70/80 gli autori del secolo scorso dell’Europa centrale – penso che non si debba disfarsi di se stessi per meglio accogliere l’altro, ma che nostro dovere sia offrirgli ciò che abbiamo di meglio».

L’Europa ha paura di se stessa

In preda a una crescente insicurezza culturale l’Europa occidentale guarda alla sua eredità con diffidenza e paura. È affetta da oicofobia (termine usato dal filosofo Roger Scruton), l’odio delle proprie origini, della casa. «La memoria che si coltiva non è la memoria della cultura europea quanto la memoria dei crimini europei: il fascismo, il nazismo, il colonialismo». L‘Europa occidentale ha abbandonato ogni cura delle origini ma l’intolleranza e il razzismo non c’entrano nulla. «Non è vero che in Francia aumentino razzismo e xenofobia – spiega Finkielkraut – i francesi che dicono che ci sono troppi immigrati testimoniano la paura di divenire essi stessi altro nella propria città, di essere in esilio in casa propria». Da raffinato pensatore si guarda bene dal prestare il fianco a letture radicali e al rischio del populismo, secondo Finkielkraut sono i partiti tradizionali, di destra e di sinistra, a doversi fare carico di questa debolezza culturale.

Nostalgia di Péguy?

È una miscela indigesta di narcisismo e masochismo, l’odio per le radici viene da lontano: secondo l’accademico di Francia è proprio Charles Péguy, autore maledetto, a torto considerato fascista,  può offrire una risposta adeguata perché – dice – «ci permette di superare l’opposizione tra illuminismo e oscurantismo nella quale alcuni storici vorrebbero chiuderci. Péguy è un repubblicano intransigente, ma sul piano filosofico è anche un romantico. Ha difeso Dreyfus oserei dire in nome della razza. Evidentemente la parola “razza” non aveva alcuna connotazione razzista, ma qualificava la nazione come comunità dei viventi e di quelli che stanno per nascere».

 

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