Foibe ed esodo, gli studenti romani in viaggio nei luoghi dell’orrore

28 Apr 2015 18:08 - di Redazione

Una storia sull’orrore delle foibe e sull’esodo giuliano-dalmata. Insieme da quasi 60 anni ma lontani dalla loro terra da quando erano piccoli. «Istria non era più la nostra Patria, dovevamo pagare il duro prezzo di lasciare tutto, adesso e per sempre». Stenta a trattenere l’emozione Eufemia Sponza quando parla della sua fuga  davanti a centinaia di studenti romani. Un dramma, quello dell’esodo giuliano dalmata, condiviso con suo marito, anche lui istriano, e da migliaia di altri italiani che hanno dovuto abbandonare le loro case, la loro terra a causa delle violenze dei comunisti titini. Si è spostato in Croazia il “Viaggio della memoria” organizzato dal Campidoglio per non dimenticare i drammi del confine italiano orientale.

Foibe, il viaggio dei liceali a Rovigno e Fiume

E oggi i 144 liceali in viaggio hanno visitato le città di Rovigno e Fiume. Qui hanno ascoltato la testimonianza non solo della signora Eufemia, originaria di Rovigno, ma anche di suo marito Elio Menegotti, esule invece da Fiume. «Dopo il 1944 per noi istriani arrivarono anni di grande confusione, l’inizio di un lungo e doloroso calvario – racconta Eufemia – Il 1951 fu l’anno del mio esodo. Avevo 17 anni quando andai via da Rovigno. Partimmo un triste giorno di novembre soltanto con una sola valigia. Lasciammo tutto. Mi chiedevo in continuazione “Dov’erano le mie amiche di scuola?” Di loro mi rimaneva solo un album di fotografie… Andammo prima in un campo profughi a Udine poi ci spostammo a Laterina, vicino Arezzo, e infine a Roma. Ma il legame con la terra è rimasto». «Essere esule se non si prova non si può capire. Eravamo lontani dalla nostra terra», continua, fermandosi ogni tanto per trattenere le lacrime. «Sono un profugo da Fiume – le fa eco suo marito Elio, oggi ottantenne – Sono nato nel novembre del 1935 e l’infanzia l’ho passata in via Buonarroti. Nel 1947 con la mia famiglia siamo partiti per andare a Udine: mio padre aveva infatti optato di essere italiano. Poi ci siamo spostati a Gaeta. Lì crescendo ho fatto diversi lavori: fornaio, meccanico, pescatore e macellai. Nel 1951 siamo andati al campo profughi di Centocelle dove ho lavorato nella fabbrica di tessili. Lì ho conosciuto mia moglie con cui mi sono sposato nel 1959. A Fiume ci sono tornato appena sposato. La seconda volta che torno è oggi, dopo oltre 50 anni. A differenza di mia moglie che ha mantenuto contatti con la sua città e con gli amici di scuola per me è morto tutto».

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