Quante furono le destre in Italia? Un libro prova a dare la risposta

27 Mar 2015 19:19 - di Redattore 54

Una storia delle destre nel dopoguerra: è questo il senso del lavoro a più mani pubblicato da Rubettino – Storia delle destre nell’Italia repubblicana – a cura di Giovanni Orsina. Un libro che raccoglie interventi di Gaetano Quagliariello (le destre europee), Vera Capperucci (la destra democristiana), Giuseppe Parlato (il Msi), Gerardo Nicolosi (il partito liberale), Andrea Ungari (i monarchici), Eugenio Capozzi (Uomo Qualunque e destre antipartitocratiche), Guido Panvini (destra eversiva), Lucia Bonfreschi (il fenomeno Lega), Giovanni Orsina (il berlusconismo).

Le destre plurali

 

Compito e scopo dei saggi riuniti in un unico testo quello di dare conto delle destre plurali che hanno caratterizzato la stagione politica italiana dal 1945 ad oggi. Con un’avvertenza che Orsina scrive in premessa: la dialettica antifascismo-anticomunismo ha posto in essere meccanismi falsificanti di legittimazione-delegittimazione impedendo o ritardando quel naturale processo di pacificazione che sempre segue le vicende belliche e che avrebbe dovuto essere il degno corollario della tragedia della guerra civile. L’antifascismo radicale ha invece voluto includere nella nozione di fascismo tutto ciò che di volta in volta strideva con il verbo progressista: le diseguaglianze sociali, il nazionalismo, il patriottismo, la religione, l’economia di mercato, il sistema capitalistico. Non vi è stata solo una conventio ad excludendum verso il Msi, dunque, ma anche verso altre forze di destra moderata. “Viste da un certo tipo di antifascismo – scrive infatti Orsina – le destre sono tutte illegittime”.

Il 1960 anno di svolta

Un processo che si accentua, come ricorda nel suo saggio sul Msi Giuseppe Parlato, dopo il 1960 quando la mobilitazione comunista a Genova con caratteri insurrezionali bloccò il percorso della destra verso la completa accettazione della democrazia. Da quel momento si impone il paradigma culturale dell’antifascismo come “fondamento etico” del Paese. Parlato ripercorre la storia del Msi fino ad An mettendo in luce le contraddizioni della svolta impressa da Gianfranco Fini. Si preferì anziché interpretare storicamente il passato “cancellare mezzo secolo di nostalgia con sbrigative abiure”. Ma anche in precedenza, annota Parlato, la cultura cui il Msi aveva fatto riferimento si era rivelata inidonea ad affrontare la realtà, oscillando tra nostalgismo patriottico ed “altrove” evoliano. Più che altro, anche se questo Parlato non lo scrive, mancò ad An la capacità di fare sintesi tra le anime culturali che pure avevano reso il Msi partito certamente più vivace intellettualmente di ciò che sarebbe venuto dopo.

I tratti comuni

Impossibile, allo stesso tempo, pur mettendo in luce le differenze tra le varie destre, non intercettare i tratti comuni e unificanti che risiedono di sicuro nell’avversione al comunismo, nell’antipatia verso i partiti nati in età repubblicana, nell’allergia all’esasperazione della dialettica politica, nella contrapposizione alle ubriacature ideologiche del Novecento. Difficile districare i fili l’uno dall’altro eppure è necessario se, seguendo il metodo della storiografia politica più accorta, si vuole com’è giusto parlare non più di una destra ma di varie destre.

Commenti