Lupi: mi dimetto per amore della politica. Mio figlio assunto perché bravo

20 Mar 2015 12:12 - di Gloria Sabatini

«Sono qui per rivendicare il primato della politica», sono le prime parole pronunciate da Maurizio Lupi nell’informativa in Parlamento sulle dimissioni, annunciate giovedì sera dai microfoni di Porta a porta. L’ormai ex ministro per le Infrastrutture e Lavori pubblici sottolinea di non essere stato neppure sfiorato  nell’inchiesta che lunedì ha portato agli arresti il superdirigente del ministero, Ettore Incalza, che ha passato indenne sette governi. «Sento il dovere di assumersi le mie responsabilità politiche, ma sento anche il dovere di illustrare il lavoro che ho svolto in questi quasi due anni alla guida del Ministero».

Lupi: non ho difeso lo status quo

Sui rapporti con l’ex capo della struttura, dimessosi il 17 dicembre scorso, Lupi chiarisce la sua personale posizione smentendo le ricostruzioni giornalistiche di queste ultime ore. «Il mantenimento della struttura non era una difesa acritica dello status quo – spiega – ma la necessità di mantenere in piedi uno strumento migliorabile, certo, ma necessario per la continuità del lavoro iniziato».  L’ex ministro alfaniano spiega in un’ Aula attentissima di non aver rimosso Incalza da capo della struttura dopo un’approfondita istruttoria sulla sua posizione dalla quale non risulta alcuna condanna. Un elemento oggettivo per chi, come me, crede nello Stato di diritto e nella presunzione d’innocenza». Incalza ha rassegnato le dimissioni con nota il 17 dicembre 2014 e, contrariamente da quanto riportato sulla stampa, non gli è stato assegnato alcun incarico di consulenza successiva.

Il lavoro di due anni

«Per due volte sono stato vice presidente di questa Aula, e questo è il luogo dove compiere il gesto che mi accingo a fare. Il Parlamento è il luogo del consenso della sovranità del popolo, il luogo del potere ed è mio dovere rendere conto dell’esercizio del potere a me affidato. Quindi – aggiunge Lupi – sono pronto a rispondere di ciò che ho fatto in questi 22 mesi da quando ho giurato prima volta da ministro». A partire dalla proposta di riordino della materia dei lavori pubblici sulla dirigenza dei cantieri prevista dalla Legge obiettivo e approvata il 14 agosto dal Consiglio dei ministri (il provvedimento è  ancora in commissione in senato). Lupi passa in rassegna i principali risultati raggiunti in questi mesi: il rilancio dei lavori pubblici, non solo delle Grandi Opere, ponti, viadotti, gallerie, l’opera di  trasparenza con la pubblicazione di tutti gli atti dei collaudi, la rotazione dei dipendenti in accordo con il ministro Madia, le tante risorse finanziarie dirottate per l’emergenza abitativa e i cinquecento milioni di euro stanziati per la casa». Politica infrastrutturale eteodiretta?, chiede provocatoriamente il ministro dimissionario. «I fatti parlano più delle notizie».

Grandi Opere

A dispetto della gogna mediatica e degli allarmi a orologeria sulla corruzione che alligna nel circuito delle Grandi Opere, l’ex ministro delle Infrastrutture rivendica di essere stato l’artefice della realizzazione e la prosecuzione delle Grandi Opere, «per il valore che«ricoprono per il Paese e per la sua immagine internazionale. Rifiuto lo scontro tra giudizio e pregiudizio che ha raggiunto il culmine nelle ultime 72 ore. Come diceva qualcuno il “fatto” è la cosa più testarda del mondo».

Mai raccomandato mio figlio

«Non ho mai fatto pressione per procurare lavoro a mio figlio, mai. Nelle intercettazioni dico molto chiaramente a Incalza, da uomo espertissimo di lavori pubblici,  di poter incontrare mio figlio neo-laureato e rientrato in Italia dall’America. Della telefonata di Incalza a Stefano Perotti non ho alcuna responsabilità. Sono amico da molti anni di Perotti, che bisogno avevo di passare per Incalza? È vero, Perotti ha regalato a mio figlio per la laurea un rolex del valore di tremila euro. È vero, non gli ho chiesto di restituirlo, forse ho sbagliato. Non me la sono sentita, ho già detto che se avessi ricevuto io quel regalo, lo avrei restituito.

Le dimissioni

«A  solo 72 ore dai fatti, non 72 giorni, c’è la presa d’atto della necessità della mia scelta e la mia comunicazione di dimissioni al presidente del Consiglio e al presidente della Repubblica. Ho servito con disciplina e onore la Repubblica, come recita il giuramento», dice tra gli applausi spiegando di ritenere la politica «non  una professione ma una passione al servizio del bene pubblico». Perché dovrei dimettermi? Proprio ora che il lavoro sta dando i suoi frutti? «Lo faccio perché siamo uomini politici, però l’uomo è il sostantivo e la sostanza politica è l’aggettivo. Lo faccio per  ridare valore alle istituzioni che ho sempre servito, per rilanciare l’azione del governo. Non mi dimetto né da padre né da marito, perché gli affetti vengono prima di tutto, anche di una poltrona sebbene prestigiosa.

L’appello ai giovani forcaioli

«A voi giovani deputati che mi avete insultato dal primo momento – dice con voce ferma –  auguro dal profondo del cuore di non trovarvi mai dentro bolle mediatiche difficile da scoppiare e di non aver mai qualcuno che entri nella vostra famiglia e intimità». Vi auguro che nessuno tiri in ballo la vostra famiglia – aggiunge mentre salgono gli applausi – ringrazio i molti che mi hanno dimostrato amicizia, sarò ingenuo, romantico, nostalgico come hanno scritto, ma per me i rapporti personali sono importanti». Per stringere amicizia su Facebook basta premere un tasto, farlo nella vita è più difficile, ma più bello – conclude – e nessuna intercettazione “decontestualizzata” può togliermi ciò che per me vale più di tutto».

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