25 aprile, balli in piazza a Milano. Ma sarà una danza macabra

25 Mar 2015 11:13 - di Redattore 54

Settant’anni fa, nel  luglio del 1945, a Milano si tenne la Festa della fraternità per celebrare la fine della guerra, con canti e balli al Parco Sempione. Un’idea di Antonio Greppi, sindaco socialista della Milano liberata. Settant’anni dopo a Milano c’è chi vorrebbe risuscitare l’iniziativa (Radio popolare, Anpi, circoli Arci e Istituti della Resistenza) e festeggiare la libertà ritrovata con canti e balli che da Milano, via etere, uniscano anche altre città e altri paesi, culminando a mezzanotte con le note di Bella ciao.

25 aprile, un’idea di Radio popolare

Un modo per tornare a una festa ideologica e di parte, e per frenare quella riflessione sulla memoria condivisa che era partita nella seconda metà degli anni Novanta e che è stata sempre bollata dall’antifascismo doc come “pericoloso revisionismo”. E anche un modo per tagliare fuori dai “festeggiamenti” quella parte della popolazione che vorrebbe guardare al futuro e tagliare i ponti con ogni forma di nostalgismo. Eppure l’idea, rilanciata dal Corriere della sera di oggi, ha già sicuramente parecchi proseliti. Ricordiamo per inciso che Radio popolare è la stessa emittente che dopo la tragedia di Acca Larenzia aprì i microfoni al libero dibattito (cui intervennero anche giovani di destra) sull’opportunità di uccidere i fascisti come cani fuori dalle loro sedi.

La tesi di Mario Cervi: non si può festeggiare una sconfitta

Proprio negli anni Novanta, lo storico Mario Cervi a proposito del 25 aprile scrisse un provocatorio editoriale: può un Paese festeggiare una sconfitta? E’ come se la Francia facesse festa nell’anniversario della battaglia di Sedan del 1870. All’epoca si levarono anche voci illuminate – come quella del sindaco di Trieste Riccardo Illy – sulla necessità di cambiare senso al 25 aprile per poterne fare una giornata  capace di toccare il cuore e le coscienze di tutti gli italiani. Ma oggi occorre un antifascismo non solo retorico, è anzi necessario ravvivare sentimenti di contrapposizione e di identificazione per puntellare il progetto politico che sotto i nostri occhi si va compiendo: la stabilità renziana minacciata a destra dal populista Salvini e contestata a sinistra dal radicalismo di Landini. Una destra compartecipe dello sviluppo del paese e capace di dare il suo imprinting al dibattito sulla memoria è venuta meno con la fine di An e dunque si riaprono le danze dell’antifascismo come “mantello nobile” per conferire alla sinistra la patente di assoluta bontà.

Ballo o danza macabra?

Che si balli pure, ma sarà una danza macabra per chi non è del tutto a corto di nozioni storiche sul dopoguerra. Per chi sa che vi fu sì la fine della dittatura, ma accompagnata da una sanguinosa guerra civile. Per chi sa ormai che molti partigiani si macchiarono di infamia nelle mattanze contro i presunti fascisti in molte città del Nord e non solo del Nord. Per chi ricorda che se al parco Sempione si ballava e si cantava per la libertà tale libertà, in quella stessa città, era anche fondata sull’ingiuria ai cadaveri dei vinti perpetrata a Piazzale Loreto. Per chi non ignora che gli stessi partigiani si divisero tra chi paventava l’asservimento all’Urss e chi lo assecondava (al punto che proprio ai partigiani bianchi viene ascritta la nascita della struttura Gladio), per chi ricorda le pagine letterarie in cui ci si vergogna delle bambine vendute ai vincitori americani, per chi anche ha solo ascoltato distrattamente la canzone di Francesco De Gregori: “Che qui si fa l’Italia e si muore, dalla parte sbagliata si muore… Se quest’acqua di lago potesse ascoltare, quante storie potrei raccontare stasera, quindicenni sbranati dalla primavera” (Il cuoco di Salò). Ecco perché è una danza macabra ogni ballo che accompagnerà la pretesa di trasformare l’Italia in una gigantesca sede dell’Anpi.

 

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