1980 di sangue: Verbano, Mancia, le bombe al Secolo d’Italia e al FdG

12 Mar 2015 8:28 - di Antonio Pannullo

Quando pensiamo al 1980, ci viene subito in mente il vigliacco omicidio di Angelo Mancia, il 12 marzo, omicidio del quale a tutt’oggi non si sono scoperti i responsabili. Come non si sono scoperti i responsabili di un altro efferato assassinio, quello di Valerio Verbano, avvenuto pochi giorni prima, il 22 febbraio, sempre nello stesso quartiere, Montesacro. Ma il 1980, purtroppo, fu questo e molto altro: la violenza politica non conosceva freni, atrocità inimmaginabili sembravano allora normali, stragi furono evitate per caso, per un soffio, o perché il destino decise così. Siamo stati veramente a un passo dal baratro. Cerchiamo di ricostruire solo alcune delle cose terribili che accaddero all’inizio di quell’anno.

1980: Movimento Sociale Italiano nel mirino

Anno che era incominciato male, nel segno dell’antifascismo esasperato: l’8 gennaio un commando mascherato dell’estrema sinistra si introduce in orario di lezioni all’istituto De Amicis al Testaccio, preleva dalla sua classe un ragazzo simpatizzante del Fronte della Gioventù e lo massacra a sprangate nei corridoi. Il giovane viene ricoverato al San Camillo. Alle 13,30, all’uscita della scuola Leonardo da Vinci in via Cavour, stessa scena: un gruppo di autonomi massacra un giovane missino che poi viene soccorso dai suoi compagni di scuola e portato al San Giovanni. Il 18 gennaio accade lo stesso all’istituto Bernini a Ponte Milvio, dove un gruppo di estremisti di sinistra entra a scuola e picchia un giovane di destra. Il 26 gennaio, dopo la condanna di Daniele Pifano, accusato di trasportare missili per i terroristi palestinesi, la sinistra estrema scatena la guerriglia urbana causando danni per centinaia di milioni di lire. Il 28 gennaio il brigatista rosso Casirati rivela che a uccidere i missini Mazzola e Giralucci a Padova nel 1974 furono proprio le Brigate Rosse, mentre per anni la grande stampa italiana aveva vergognosamente insistito sull’ipotesi della faida interna. Il 3 febbraio al quartiere Trieste un giovane missino viene accoltellato da un gruppo di avversari politici mentre stava chiacchierando con un gruppo di amici. Ma il peggio deve ancora arrivare: il 12 febbraio, un mese prima dell’omicidio Mancia, viene assassinato dalle Brigate Rosse dentro l’ateneo romano, a Scienze politiche, il professor Vittorio Bachelet davanti alla sua assistente Rosy Bindi. Il 19 febbraio Montesacro entra nel mirino, anche perché pochi giorni prima un convegno di studi sulla droga organizzato dal Fronte della Gioventù aveva avuto grande successo. Due bombe ad alto potenziale distruggono la sezione missina di via Valsolda. Almirante, Marchio e Gallitto visitano la sede e organizzano una raccolta di fondi per la ricostruzione. Il 22 viene assassinato, con modalità atroci, il giovane di sinistra Valerio Verbano: i killer legano e imbavagliano i genitori e attendono l’arrivo del giovane per ucciderlo. Il 18enne faceva parte del Collettivo di Val Melaina e studiava al liceo Archimede. Arrivano due rivendicazioni: una dei Nar (che però indicano utilizzata una pistola di calibro diverso) e una dei Proletari organizzati armati, che però precisano l’intenzione di voler solo gambizzare il giovane. A tutt’oggi l’omicidio è ancora impunito. Iniziano una serie di violente manifestazioni della sinistra che promette vendetta contro “le carogne nere”, anche se non c’è nessuna prova che il delitto abbia una matrice di destra. Salta la sede del Fuan, decine di aggressioni tra cui quella contro un giornalista e due carabinieri scambiati per missini, bombe davanti casa di attivisti di estrema destra; bombe anche alle sezioni del Msi Marconi e Prenestino. Nei giorni successivi c’è un assalto a colpi di pistola contro la sezione di via Acca Larenzia e nuove esplosioni contro le case e le attività di persone considerate fasciste. Gravissimi incidenti di piazza il 25, durante i funerali di Verbano. Il 29 strage evitata al bar Casina Fiorita di piazza Bologna, ritrovo di estremisti di destra: la miccia si spegne. Trovato un ordigno anche davanti alla sezione del Msi di piazza Tuscolo. Il 1° marzo una bomba distrugge il bar Rosati di piazza del Popolo, anch’esso considerato ritrovo dei neofascisti. Il 7 marzo i Nuclei comunisti antifascisti bruciano due auto sotto la casa del giornalista di destra Alberto Giovannini.

Le due bombe alla tipografia del Secolo d’Italia

Il 7 marzo, alle 19,45, esplode una bomba all’interno della tipografia dove si stampa il Secolo d’Italia, quotidiano del Movimento Sociale Italiano. Distrutti molti macchinari e feriti sei operai della cooperativa, tra cui il presidente Giacomo Berrettoni e Carletto Ugentini che erano intervenuti con estintori. Una voce femminile telefona all’Ansa: “L’attentato al Secolo non è che l’inizio, il compagno Valerio sarà vendicato”. Una seconda rivendicazione, al Messaggero, sarà firmata Compagni organizzati in Volante Rossa, ossia gli assassini di Angelo Mancia. Ma non è finita: mentre si sgombrano le macerie e si soccorrono i feriti, viene trovata dai Vigli del Fuoco una seconda bomba, che avrebbe dovuto uccidere tutti. Il Secolo comunque quella sera uscì lo stesso. In un comunicato gli operai, i giornalisti e gli impiegati annunciarono che il terrorismo rosso non avrebbe fermato la voce libera del Msi. Nella stessa serata una bomba esplode davanti alla finestra dell’attivista del Tuscolano Tonino Moi, distruggendo la camera da letto dove in quel momento non c’era nessuno.

Via Sommacampagna: la più potente bomba mai usata in quegli anni

Il 9 marzo, ci fu un fatto che avrebbe potuto cambiare per sempre la storia della politica italiana: una bomba di otto chili di tritolo era stata posta all’interno della sede della federazione provinciale del Fronte della Gioventù in via Sommacampagna, da cui si accedeva, tagliando un vetro, dal cortile del vicino liceo Benedetto Croce. Se ne accorsero dei militanti che stavano cercando dei pennelli e della colla. Avvisata la polizia, gli artificieri disinnescarono l’ordigno due minuti prima dell’esplosione, che avrebbe raso al suolo l’intero palazzo. Anche questo gesto fu rivendicato dal Compagni organizzati in Volante rossa. Il 10 marzo uno studente diciannovenne, missino, viene accoltellato da un gruppo di comunisti all’istituto Cavour. Il giorno dopo, un altro atroce omicidio al quartiere Flaminio: sempre i Compagni della Volante rossa assassinano sotto casa un cuoco, Luigi Allegretti, convinti aver ucciso un dirigente della sezione Flaminio del Msi che abita in quella stessa strada. Ancora al momento della rivendicazione i compagni erano convinti di avere ucciso un fascista. Tra l’altro, poche settimane prima, lo stesso Allegretti aveva trovato sul pianerottolo una bomba, sempre destinata ai missini. La sera, una bomba fa saltare la casa di un dirigente del Msi a piazza Vescovio. Come si vede, era una guerra totale, senza che nessuno potesse intervenire per fermarla.

12 marzo 1980: Angelo Mancia viene aspettato sotto casa e assassinato

I terroristi, ancora della Volante rossa, attendono sotto casa sua, al quartiere Talenti, il giovane Angelo Mancia, attivista molto conosciuto a Roma, dipendente del Secolo d’Italia, Lo aspettano tutta la notte a bordo di un pulmino parcheggiato nei pressi. Quando Angelo si avvicina al motorino per andare a lavorare, verso le otto e mezzo, i terroristi gli sparano. Angelo tenta di tornare indietro, ma è troppo tardi: lo finiscono con un colpo alla nuca, nello stile consueto della vera Volante rossa, quella che operò dopo la guerra nel Nord Italia, assassinando avversari politici e gente comune, tra cui il giornalista fascista Franco De Agazio. I killer fuggono a piedi per poi salire su una Mini Minor rossa. Di loro non fu mai più trovata nessuna traccia. Nel 1951 gli assassini della Volante rossa partigiana furono condannati all’ergastolo, ma erano già tutti latitanti, e di loro non si seppe più nulla. Enorme la commozione nella comunità missina, i parlamentari choiedono agli inquirenti e allo Stato di fare il loro dovere e di difendere i cittadini. Ma la violenza non si ferma: il giorno dopo, il 13 marzo, una bomba esplode davanti casa di Mario Pucci, giornalista del Secolo d’Italia, il cui figlio è un attivo militante della sezione Flaminio. Imponenti funerali di Angelo Mancia in piazza Esedra, alla presenza di tutto il Msi. I giornali, tutti i  giornali, continuano a infangare Angelo Mancia definendolo un picchiatore, un delinquente e altro, tanto che il Secolo è costretto a pubblicare il certificato penale dal quale risulta che Mancia era incensurato. Capitava anche questo allora.

Ma l’offensiva comunista prosegue, allora uccidere un fascista non era reato: altri bar assaltati, altre sezioni distrutte, tra cui la Prati, la cui esplosione danneggia anche lo stabile. La comunità missina serra i ranghi e non cede, sopporta l’ondata di terrorismo senza precedenti e denuncia l’esistenza di un piano fatto a tavolino, perché è impossibile che lo Stato abbia perso del tutto il controllo della sua capitale, così come è impossibile che tanta gente abbia familiarità e disponibilità di esplosivi e armi. Almirante, Marchio e gli altri dirigenti iniziano visite in tutte le sezioni romane in una specie di controffensiva culturale e pacifica. Qualche giorno dopo, nella federazione del Msi di Roma, Mancia è ricordato con le parole di Orazio: “Non morirò del tutto”, e queste parole valgono per tutti i giovani morti per le loro idee.

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