Riforme, fallito il dialogo tra Pd e M5S. Da Forza Italia appello a Mattarella

12 Feb 2015 21:58 - di Guglielmo Federici

Con grande lentezza, tra infinite discussioni procedurali, il cammino delle riforme Costituzionali prosegue alla Camera, dopo la decisione presa dalla maggioranza di portare avanti una seduta “no stop”. Il governo ha tentato un accordo con il M5s, ma la condizione posta da quest’ultimo, e cioè l’approvazione di tre propri emendamenti, è stata giudicata non accettabile, cosa che ha provocato la reazione sdegnata dei pentastellati che, pur rimanendo in aula, non hanno preso parte dalle votazioni.

Pd-M5S: intesa saltata

E tensioni si sono manifestate nella maggioranza, compresa una mancanza di numero legale che ha provocato l’irritazione della presidente Laura Boldrini. Mentre Forza Italia, nel rimarcare il suo disappunto per la marcia a tappe forzate imposta dal governo, si appella al Capo dello Stato Sergio Mattarella. M5s rimane il gruppo di opposizione che ha praticato con più vigore il filibustering, con continui interventi sull’ordine dei lavori e sul regolamento, che hanno di fatto bloccato il voto sugli emendamenti, ridottisi notevolmente dopo che Fi e Lega hanno ritirato quelli ostruzionistici. Di qui il tentativo del relatore Emanuele Fiano, del vicecapogruppo del Pd Ettore Rosato e del governo, di trovare una intesa con M5S per sbloccare i lavori. I cinquestelle hanno posto però come condizioni l’approvazione di un certo numero di emendamenti (inizialmente sette e poi scesi a tre) tesi a favorire la “democrazia diretta”: eliminazione del quorum nei referendum, obbligo della Camera di esaminare le leggi di iniziativa popolare, possibilità delle minoranze parlamentari di ricorrere alla Corte costituzionale (l’attuale testo del ddl lo ammette solo per le leggi elettorali).

 Il Pd nella bufera

Le richieste sono state  respinte da Pd e governo, provocando anche l’ira di Beppe Grillo sul blog. In aula i deputati di M5s hanno proseguito la loro battaglia ostruzionistica, marcando con la non partecipazione alle votazioni il dissenso rispetto alla decisione della seduta fiume. Quest’ultima poi viene dichiarata illegittima anche dalle altre opposizioni, tanto che il capogruppo di Fi Renato Brunetta ha chiamato in causa il presidente della Repubblica Mattarella. Ma la tensione è altissima dentro la maggioranza, a causa dei “niet” opposti dal ministro Maria Elena Boschi a numerosi emendamenti. Una “rigidità”, secondo Alfredo D’Attorre della minoranza del Pd, che dopo la fine del Patto del Nazareno, risulta «incomprensibile e comica». In particolare la minoranza del Pd insiste affinché sia inserita la norma transitoria che permetta un giudizio preventivo della Corte costituzionale sull’Italicum. La linea del ministro Boschi è comunque di apportare il minor numero di modifiche al testo licenziato dal Senato, nella speranza che esso poi confermi quanto deciso dalla Camera in questa lettura. «Ieri abbiamo garantito che la riforma andasse avanti e ci aspettavamo che dopo la fine del patto del Nazareno cambiasse il metodo – minaccia D’Attorre – Se continua così ci sentiremo liberi di votare le nostre proposte in Aula, emergeranno le divergenze nel Pd». Segnali netti di una situazione ad alta tensione interna ai dem che si era avuta già all’apertura della seduta, quando i deputati della maggioranza non erano sufficienti per garantire il numero legale.

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