L’arte di Morandi torna a Roma dopo 40 anni: 150 capolavori da non perdere

27 Feb 2015 20:15 - di Antonella Ambrosioni

L’arte di Giorgio Morandi torna a Roma dopo oltre 40 anni – ultimo allestimento nel 1973 – in una grande mostra allestita al Complesso del Vittoriano fino al 21 giugno. Le celebri nature morte di oggetti comuni o fiori di stoffa, i paesaggi assolati, le vedute cittadine di orti e cortili, le incisioni rarissime, i disegni dominati dal biancore della carta: esposte circa 150 opere, di cui un centinaio di straordinari dipinti provenienti da collezioni pubbliche e private, capaci di ricostruire la «traiettoria ben tesa», come diceva Roberto Longhi, della ricerca condotta con rigore e dedizione fino all’ultimo dal pittore bolognese.

Morandi amato negli Usa

“Giorgio Morandi. 1890-1964” è un’antologica da non perdere curata dalla direttrice della Fondazione Longhi Maria Cristina Bandera, tra le massime studiose del maestro di via Fondazza, che è riuscita a mettere insieme una selezione sorprendente per varietà e qualità, toccando tutti i punti della produzione morandiana e allestendo testimonianze della storia collezionistica italiana del XX secolo. Schivo, poco incline all’ufficialità, legato più al suo ruolo professorale che a quello di pittore, Morandi, nonostante tutto, era al centro di una serie di strette relazioni con i maggiori critici e storici dell’arte del tempo, come Longhi, Ragghianti, Lionello Venturi, Cesare Brandi, che lo seguirono con estrema attenzione collezionando i suoi capolavori apparentemente statici e uguali nel tempo. E invece oggetto di un continuo rinnovamento, di una instancabile evoluzione. La curatrice ha sottolineato il grande successo americano dell’artista. Nel 2009, il presidente Obama, dopo averlo ammirato in mostra, ha portato alla Casa Bianca una sua Natura morta.

Da Paolo Uccello a De Chirico

Il nucleo centrale della rassegna è costituito da quel centinaio di dipinti realizzati dal maestro bolognese dal 1910 ai primi anni’ 60 e prestiti eccezionali da musei e collezioni. Lì sono ancora più evidenti le fasi che hanno caratterizzato una ricerca costante e distesa nel tempo, dalla grande Natura morta del Centre Pompidou del 1914, in cui sono presenti le suggestioni cubiste, passando dai paesaggi in cui si concretizza «la sintesi tra Paolo Uccello e Cezanne». Ma anche Giotto, gli antichi maestri (ricerca il colore degli affreschi), nonché di Rousseau, Carrà, De Chirico. Ecco quindi la Natura morta metafisica di Brera o quella della collezione dell’Eni, dove, oltre al richiamo a Cezanne, c’è quello al ‘600 romano, con il pane che rimanda al Caravaggio della “Cena di Emmaus”. Non manca l’Autoritratto degli Uffizi, in cui Morandi indossa l’abito del professore più che del pittore, e ispirata indubbiamente a Corot, cui fanno seguito i lavori degli anni ’20, quando, consapevole delle proprie capacità, imbocca in piena autonomia la propria strada.

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