De Benoist: il Trattato transatlantico? Una trappola per morire americani

6 Feb 2015 12:54 - di Gloria Sabatini

Yankee go home due punto zero? “Americani a casa/ cosacchi nella steppa/ Europa nazione/ nazione sarà”, come recitava una canzone di Musica alternativa dei Vento del Sud ? Passano i decenni ma per Alain de Benoist il rischio di “morire tutti americani” non è un pallino ideologico figlio della “terza via” degli anni Ottanta, ma la prospettiva concreta di un’Europa senza anima. Un po’ come quello di morire democristiani per noi cugini d’Oltralpe, sempre in bilico tra restaurazione gattopardesca e balene bianche.

La minaccia Usa

Il fondatore della Nouvelle Droite, in un’intervista a  Libero, torna ad  analizzare il timore concreto di finire sudditi-consumatori del grande mercato statunitense: “Scompariranno le ultime tracce di sovranità e gli Stati potrebbero essere trascinati davanti a un tribunale di cui dovranno accettare le sentenze senza possibilità di appello”, dice lo scrittore e giornalista francese reduce dalla fatica de Le Traité transatlantique et autre menaces ( Il Trattato transatlantico e altre minacce,  Edizioni Pierre-Guillaume de Roux). Nel mirino, appunto,  il patto tra Stati Uniti e Vecchio Continente che calerà nei prossimi anni sulle teste degli europei e sul quale la grande stampa “indipendente” preferisce glissare.

Una trappola

Si scrive Trattato transatlantico si legge Trappola. Il progetto ormai in dirittura d’arrivo porterà alla nascita di un gigantesco mercato di scambio tra Ue e Usa sotto l’egida america che comprenderà più di 800 milioni di consumatori, la metà del Pil del pianeta e il 40 per cento del commercio mondiale. L’idea, partorita dal gotha dell’alta finanzia planetaria,  circola da oltre vent’anni circola nei corridoi del potere a Washington e Bruxelles ma – spiega de Benoist – “dal 14 giugno 2013 è entrato in fase attiva, da quando cioè i governi degli Stati dell’Unione europea hanno dato mandato “esclusivo” alla Commissione Ue di negoziare con l’amministrazione americana  i criteri di realizzazione di questo futuro mercato comune”.

Le lobby ringraziano

Dietro la rimozione delle barriere doganali, in realtà l’ultima delle preoccupazioni dei “registi” del trattato-trappola, si nasconde l’abbattimento ben più pericoloso delle barriere non tariffarie (gli standard sociali, ambientali, sanitari) che sono di ostacolo al libero scambio. Come se non bastasse, poi,  attraverso un beffardo meccanismo chiamato “protezione degli investimenti” alle multinazionali e ai grandi gruppi finanziari viene assegnato un status giuridico pari a quello degli Stati nazionali in caso di controversie giuridiche.

La politica dorme

La politica è stata tenuta alla larga dall’operazione e ancora oggi l’opinione pubblica è praticamente all’oscuro di un progetto costruito su misura del Grande fratello a stelle e strisce per  frenare la caduta del dollaro come moneta di scambio e allontanare la vecchia Europa dall’area geopolitica di Mosca. Non a caso Obama, con toni solenni e inorgogliti, ha presentato  il Trattato transatlantico come una riedizione miracolosa della Nato in versione economica alla quale fa da péndant il Trattato transpacifico,  promosso, guarda il caso, sempre dagli Usa insieme con altri otto Paesi  tra i quali l’emergente Giappone.

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