Camorra, 61 arresti: così il clan Pagnozzi si era preso Roma

10 Feb 2015 15:21 - di Roberto Frulli

Erano noti negli ambienti criminali come “i napoletani della Tuscolana“. Gestivano lo spaccio in alcune piazze della periferia della Capitale, come Centocelle, Borghesiana, Pigneto e Torpignattara. E avevano investito i proventi del business criminale in bar, ristoranti e locali del Centro storico della Capitale, negozi, autosaloni. Il loro capo, il 56 enne Domenico Pagnozzi, è il figlio di Gennaro Pagnozzi, boss storico del clan, detto “o’ Giaguaro” alleato con i Casalesi. Un clan camorristico, quello dei Pagnozzi di San Martino Valle Caudina, nell’avellinese, che è sempre risorto dalle ceneri ed ha mantenuto sul territorio a cavallo tra le province di Avellino e Benevento, un diffuso potere criminale soprattutto nell’usura e nelle estorsioni, estendendo, poi, il suo potere criminale nella zona di Roma est.
Ieri la battuta d’arresto: 61 sono finiti in manette in un’operazione che ha smantellato il clan camorristico caratterizzato dall’integrazione tra personaggi di origine campana e noti criminali romani tanto da poter essere considerata una realtà autoctona che si avvaleva però della connotazione camorristica del suo capo di alcuni affiliati per poter accrescere la propria forza intimidatrice nella Capitale.
Durante le indagini sono emers episodi di estorsioni e gravi intimidazioni per imporre il volere del clan e per recuperare crediti usurai anche per conto di terze persone. Ma era solo il primo passo della scalata al potere criminale. L’organizzazione intendeva monopolizzare anche il controllo della distribuzione delle slot machines in molti esercizi commerciali della zona Tuscolana-Cinecittà e si stava muovendo in questa direzione.

Bar, ristoranti, autosaloni, negozi: il bottino del clan Pagnozzi

Sotto sequestro sono finiti bar e ristoranti del centro di Roma, tra i quali il bar Tulipano, da cui prende il nome l’operazione, che si trova in Via del Boschetto, nel Rione Monti, a pochi passi dall’abitazione dell’ex-presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ma anche un ristorante di Via dei Vascellari a Trastevere, e un negozio di orologi di Via Barberini. Tra i dodici esercizi commerciali posti sotto sequestro ci sono anche due autosaloni e un locale notturno in zona Tiburtina. Alla lista si aggiungono poi 30 immobili – 28 dei quali a Roma e provincia, uno nell’Avellinese e uno a Isola di Caporizzuto – 72 veicoli, 20 società e 222 rapporti finanziari per un valore complessivo stimato di circa 10 milioni di euro.
«Siamo convinti che il gruppo volesse espandere il proprio raggio di azione soprattutto per quanto riguarda le piazze di spaccio di droga – ha rivelato il comandante provinciale dei carabinieri di Roma, il generale Salvatore Luongo – E’ un sodalizio criminale autoctono che nasce con matrice camorristica, ma si sviluppa nella Capitale» saldandosi a noti esponenti della criminalità capitolina come Massimo Colagrande.

Una cosca legata ai Casalesi, agli Schiavone, ai boss romani

Le redini della famiglia Pagnozzi erano passate a Domenico Pagnozzi con il declino del vecchio capoclan a causa dell’avanzare dell’età e delle precarie condizioni di salute. Domenico Pagnozzi è in carcere dal 4 febbraio del 2013, in regime di 41 bis, accusato, fra l’altro, di aver fatto parte del gruppo di fuoco che nel 2001 uccise a Torvaianica, sul litorale romano, Giuseppe Carlino, assassinato per vendicare la morte del fratello del boss Michele Senese. Nell’auto utilizzata per compiere l’agguato venne ritrovato un fazzoletto di carta con tracce del Dna di Pagnozzi.
L’omicidio Carlino avrebbe sancito l’alleanza, rafforzatasi negli anni, tra il clan della Valle Caudina e la criminalità organizzata romana. Domenico Pagnozzi era stato già condannato a sei anni di reclusione per associazione a delinquere e tentata estorsione nei confronti di un’impresa di Sant’Agata dei Goti, nel beneventano avvenuta nel 1990. Era tornato in libertà nel giugno del 2005, beneficiando del cosiddetto “indultino”, e successivamente era stato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Roma per otto anni. Misure di prevenzione spesso violate, come nell’agosto del 2009, quando venne fermato a Montesarchio, in provincia di Benevento: gli agenti della Squadra Mobile della Questura di Avellino lo bloccarono nella chiesa dove si era recato per partecipare ad un matrimonio. Il clan Pagnozzi – come ha sostenuto l’ex-procuratore aggiunto della Dda di Napoli, Federico Cafiero de Raho, ha sempre mantenuto un profilo attivo sul territorio anche grazie all’alleanza con il clan dei Casalesi. Uno degli esponenti di rilievo del clan Schiavone, arrestato nel giugno del 2012 in un’operazione coordinata dalla Dda di Napoli operava a stretto contatto dei Pagnozzi soprattutto nel settore delle estorsioni. Dalle intercettazioni ambientali, emerse anche che Domenico Pagnozzi incontrava in una masseria di San Martino Valle Caudina, nell’avellinese, esponenti di spicco dei Casalesi ma anche le vittime delle estorsioni, costrette a patteggiare direttamente con lui la tangente.

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