Barbarie dell’infibulazione: ecco la testimonianza choc di una somala

6 Feb 2015 20:53 - di Redazione

Ventisei anni anche se ne dimostra vari di più, colta e giunta in Italia dalla Somalia per realizzare un sogno che oggi è diventato realtà: fare l’interprete. Shanta, all’apparenza, è una giovane donna integrata e moderna. Ma resta ferma nelle sue convinzioni: è d’accordo con la pratica delle mutilazioni genitali femminili (mgf), cui lei stessa è stata sottoposta, salvo però ammettere che a sua figlia «non la farebbe mai». A raccontare la storia di Shanta è Aldo Morrone, presidente dell’Istituto mediterraneo di ematologia di Roma, impegnato in prima linea con vari progetti in Africa e che presso l’Istituto ha in cura varie donne immigrate, molte delle quali sottoposte a mgf nei Paesi d’origine.

Storia emblematica

Shanta non vuole raccontare la sua esperienza direttamente, come la maggioranza delle donne vittime di mgf. Ma la sua storia è emblematica. È in Italia da circa 5 anni. In Somalia – dice Morrone – ha studiato ed appartiene ad una famiglia“bene” Oggi lavora a Roma come interprete. «Si è rivolta a me perchè si trovava in una condizione di terribile sofferenze a causa di serie infezioni legate all’infibulazione subita. Mi ha chiesto di curarla, ma ad una condizione: non ha voluto assolutamente essere deinfibulata, nonostante oggi disponiamo di tecniche chirurgiche per effettuare interventi di ricostruzione su donne mutilate da tali pratiche». Una richiesta che colpisce profondamente Morrone: «Ma perchè?», le chiede. Perchè, gli risponde Shanta, «mia madre mi ha cresciuta dicendomi che l’infibulazione è il bene più grande per la mia vita e per il mio futuro. È  un importante segno distintivo della nostra cultura. Per me – spiega al medico – è la prova di fedeltà e del fatto di essere una donna inviolata che darò all’uomo della mia vita, quando lo incontrerò e lo sposerò».

«A mia figlia mai»

In Shanta, continua il medico, «ho ritrovato una forte contraddizione – omune a molte donne nel suo stato; la contraddizione che nasce dal voler mantenersi fedele ad una tradizione tramandata da madre in figlia avvertendo però, allo stesso tempo, la sensazione che questa pratica non sia giustificabile». E quando il medico le chiede: «Dici di essere convinta e difendi le mgf, ma se avessi una figlia, la sottoporresti a questa pratica?’», la forza di Shanta vacilla e gli occhi, racconta Morrone, «le diventano lucidi»: «No – risponde – a mia figlia no, assolutamente no». Una storia che testimonia «come queste donne siano duplicemente vittime: di una pratica inaccettabile e brutale e di una lacerazione interiore tra tradizione e modernità. Una contraddizione che è una sofferenza dell’anima, che si aggiunge a quella del corpo».

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