Storia di Alleanza Nazionale in 14 punti: una comunità in cammino

27 Gen 2015 8:22 - di Antonio Pannullo
Alleanza Nazionale

Morire per poi rinascere. Fu questo concetto alla base della metamorfosi dal Movimento Sociale Italiano ad Alleanza Nazionale. Idea criticata, vituperata, osteggiata, respinta, ma che alla fine risultò vincente al di là di ogni ragionevole dubbio e soprattutto al di là di ogni ottimistica previsione. Il popolo del Msi passò dalla stagione dell’alternativa al sistema alla cultura di governo. Alleanza Nazionale nacque ufficialmente il 27 gennaio 1995, ossia vent’anni fa esatti, ma la sua gestazione fu piuttosto lunga – risaliva almeno a tre anni prima, se non di più – e favorita e accompagnata da una serie di fatti e fattori, perlopiù imprevedibili, che contribuirono al suo successo. A vent’anni di distanza, è forse più facile analizzare serenamente quello che accadde e quello che portò alla nascita di An, anche perché il 22 marzo 2009 An si dissolse per confluire nel Popolo della Libertà. Il Msi, nato nel 1946 come erede e custode della tradizione culturale e politica del fascismo, attraversò gli anni Cinquanta e Sessanta affermando sempre più le proprie posizioni e idee, portando avanti battaglie e campagne e parole d’ordine spesso condivise entusiasticamente da una parte degli italiani.

1-Gli anni di piombo

Nel decennio cosiddetto di piombo, gli anni Settanta, il Msi si trovò ad affrontare una temperie violenta e inaspettata: contro il popolo della fiamma si scatenò praticamente tutta la società civile, la magistratura, le istituzioni, gli intellettuali e i giornalisti, gli artisti, le forze dell’ordine, tutti gli altri partiti, che all’uopo, ossia allo scopo di discriminare e perseguitare il Msi, avevano coniato il neologismo di “arco costituzionale”, che in genere viaggiava di conserva con la “repubblica democratica e antifascista”. Per il Msi, insomma, non c’era posto nel consesso civile. La fiamma sembrava destinata a spegnersi e a esaurirsi sotto i colpi spietati dei suoi detrattori. Ma il “sistema” non aveva fatto i conti con la capacità di tenuta dei suoi militanti e sulla forte motivazione ideale che li sosteneva, e questo fu l’errore capitale del regime, quello che gli scaverà la fossa (metaforicamente parlando). Consideriamo il clima di quegli anni: finiti gli anni di piombo, il Msi negli anni Ottanta sopravvisse tentando di trovare un nuovo impulso, ma non lo trovò. Le percentuali elettorali si assottigliavano sempre più, Giorgio Almirante lasciò il testimone a Gianfranco Fini, ma le cose non migliorarono di molto.

2-La segreteria Rauti

Nel 1990 fu tentata la carta di Pino Rauti, sperando che le sue idee e suggestioni riuscissero a galvanizzare sia i militanti sia gli elettori, ma non andò così. Il messaggio di Rauti non fu compreso, o fu spiegato male, e il Msi giunse al suo minimo storico, 3,9 per cento. Tornò Fini, nel 1991, ma nel partito persisté l’intima convinzione che si fosse quasi alla fine dell’avventura. Poi accaddero alcune cose, apparentemente slegate tra loro ma che poi contribuirono a un cambio radicale. Innanzitutto Tangentopoli, dalla quale il Msi e la sua classe politica rimase completamente immune, grazie all’onestà e alla incorruttibilità  dei suoi uomini, peraltro nota al popolo missino: chi aderiva al Msi aveva tutto da perdere e nulla da guadagnare, pertanto era escluso tra le sue file ci fossero carrieristi e arrivisti, e men che meno disonesti. A quel punto i missini, oltre alla immensa soddisfazione di vedere che tutto quello che avevano detto i loro rappresentanti sulla classe dirigente italiana era vero, cominciarono a pensare che un’altra destra fosse possibile, ma era chiaro che l’immagine del Msi era vecchia e aveva attraversato troppe battaglie per potersi rinnovare: gli italiani non l’avrebbero capito. Doveva prendere forma un altro soggetto politico nel quale il Msi avrebbe potuto confluire e le sue idee sopravvivere.

3-L’articolo di Domenico Fisichella

Poi, nel settembre 1992, ci fu l’ormai famoso articolo del professor Domenico Fisichella sul quotidiano Il Tempo. Nella sua riflessione, il politologo rifletteva sul fatto che se a sinistra i progressisti stavano mettendo su un’Alleanza democratica (che poi non si fece, ma questa è un’altra storia), a destra si poteva creare un’Alleanza nazionale nella quale sarebbero potuti confluire cattolici, liberali, repubblicani, conservatori e quant’altro. Quello che allora non si poteva ancora sapere è che il Msi e i missini avrebbero giocato un ruolo da protagonista nel nuovo soggetto. In questo momento il Msi sembrava solo uno dei gregari del nuovo soggetto stesso. Nell’aprile del 1993 sul quotidiano del partito, il Secolo d’Italia, compare un articolo di Francesco Storace, allora portavoce di Fini, nel quale rilanciava l’ipotesi di una unione dei missini con altri soggetti politici conservatori e comunque di diversa provenienza politica. La discussione andava scaldandosi, e tutte le ipotesi erano aperte. Ma nessuno, a eccezione forse di Pinuccio Tatarella e dello stesso Fini, ancora aveva le idee chiare su quello che sarebbe successo.

4-I successi di Roma e Napoli

Nel novembre dello stesso anno, poi, ci fu il colpo di genio, di fortuna o forse della disperazione, che fece sì che Gianfranco Fini, Alessandra Mussolini e molti altri qualificati esponenti missini si candidassero a sindaco rispettivamente a Roma, Napoli e altre città. Si consideri che il Msi non era ancora stato sciolto, anche se Alleanza Nazionale cresceva sempre più. Come tutti ricorderanno, fu un successo senza precedenti: gli elettori premiarono il coraggio, le capacità, le competenze di Fini e degli altri, così il Msi conquistò diversi sindaci, moltissimi consiglieri comunali: a Roma il Msi (un partito del 4/5 per cento) raggiunse il 47 per cento dei consensi, a Napoli il 44, inoltre a Chieti, Benevento, Latina e altri centri i candidati missini furono eletti alla carica di primo cittadino. In quel periodo intanto molte personalità non missine si erano avvicinate ad Alleanza Nazionale, tra cui il generale Luigi Ramponi, già comandante generale della Guardia di Finanza, Gaetano Rebecchini, membro della Consulta vaticana, il giudice Antonio Alibrandi, oltre naturalmente allo stesso Fisichella, e moltissimi altri italiani. Né va taciuto il fatto che Silvio Berlusconi, il 23 novembre, da Casalecchio sul Reno dichiarò che se fosse stato elettore a Roma avrebbe certamente votato per Gianfranco Fini. Fu un atto indubbiamente coraggioso, perché va ricordato che il quegli anni ammettere pubblicamente di votare il Msi equivaleva a farsi considerare un appestato dalla politica che contava. In quei giorni nacquero i primi circoli di An, diversi dalle sezioni del Msi, fino a che, l’11 dicembre, il Comitato centrale di Msi dà vita alla nuova denominazione di Msi-An, con l’astensione di Rauti e di dieci dirigenti a lui vicini. Era fatta, la paura di scomparire era passata, il processo di rinnovamento era cominciato e Alleanza Nazionale era sul punto di debuttare.

5-I Congressi del gennaio 1994 all’Ergife

Il 22 gennaio 1994 all’Hotel Ergife di Roma si tenne l’assemblea costituente di Alleanza Nazionale e il 28, nello stesso luogo, si svolse il XVII congresso del Msi dove fu presentato il nuovo simbolo. Il resto è storia recente: nel marzo il Msi-An si presentò alle politiche con la nuova legge Mattarella, alleato con Forza Italia, Lega Nord, Centro Cristiano Democratico e Polo Liberal-democratico. Il risultato scaturito dalle urne fu sorprendente, e sorprese prima di tutti Fini, Tatarella e il popolo missino: il Msi-An ebbe il 13,4 per cento dei consensi e per la prima volta nella storia entrava a far parte di un governo. Silvio Berlusconi divenne premier, Tatarella vice premier, e Altero Matteoli, Adriana Poli Bortone, Publio Fiori e Domenico Fisichella, ministri della Repubblica. Meglio non sarebbe potuta andare. Chi aveva creduto in Alleanza Nazionale aveva avuto ragione. Il 22 ottobre 1994 c’è un’altra tappa importante del cammino di questa comunità: il Comitato centrale del Msi, l’ultimo, ratifica la confluenza della fiamma in Alleanza Nazionale, pur con l’opposizione di Rauti e Teodoro Buontempo. Mirko Tremaglia, storico esponente del Msi, propone di chiamare il nuovo soggetto Alleanza Nazionale-Msi, ma la sua idea non viene accolta.

6-Il lungo cammino verso Fiuggi

Intanto il governo Berlusconi cade, nella maniera che tutti certamente ricordano. Ma Alleanza nazionale va avanti, va avanti fino a Fiuggi. Qui, il 24, 25 e 26 gennaio si svolge l’ultimo Congresso nazionale del Msi, il XVIII, e il 27 inizia quello di Alleanza Nazionale. Morire per rinascere. Nel frattempo Fini aveva chiesto a Gennaro Malgieri, giornalista e scrittore nonché direttore del quotidiano del partito, di scrivere le tesi di un congresso fondativo. L’assemblea elegge Fini presidente del nuovo partito. Bello anche il titolo delle assise: “Cresce la nuova Italia”. Naturalmente le tesi sostenute a Fiuggi, in particolare quelle relative a fascismo e antifascismo, non passarono in modo indolore: Pino Rauti, da sempre animatore della sinistra del partito, abbandona il Congresso e fonda il nuovo Movimento Sociale-Fiamma Tricolore. Erano già usciti Giorgio Pisanò e Tomaso Staiti di Cuddia. Ma il cammino è del nuovo partito è solo iniziato: quest’anno An ha 124mila iscritti e migliaia di circoli in tutta Italia. Il 1° febbraio i gruppi parlamentari assumono la nuova denominazione di Alleanza Nazionale. L’onda lunga della svolta è levatrice di nuovi successi: alle regionali di quell’anno, An aumenta i consensi e Antonio Rastrelli è eletto alla guida di un’importantissima regione, la Campania. Nel 1996 Nicola Cristaldi diviene presidente dell’Ars, l’Assemblea regionale siciliana.

7-Il 1996 fu l’anno del massimo storico

Ed è proprio il 1996, l’anno della sconfitta del centrodestra, il momento in cui An raggiunge il suo massimo storico: terzo partito italiano, sei milioni di voti (il doppio del Msi del boom del 1972), per una percentuale del 15,7 dei votanti. Quell’estate viene formata l’organizzazione giovanile del partito, Azione Giovani, al cui vertice viene eletto il siciliano Basilio Catanoso. Il Secolo d’Italia continua a essere l’organo ufficiale del partito. Nel settembre 1996 i tre coordinatori del partito sono Maurizio Gasparri, Publio Fiori e Domenico Fisichella, a rappresentare le tre anime del movimento politico. Negli anni successivi ci furono anche momenti meno belli, normali in un dibattito politico, come l’insuccesso delle amministrative del 1997 e il fallimento della bicamerale, ma nel dicembre 1998 ci fu il grande successo alla Provincia di Roma, dove fu eletto presidente Silvano Moffa, esponente della destra sociale, cosa che fece comprendere ad An che l’elettorato era disposto a votare senza pregiudizi anche persone precisamente schierate. L’8 febbraio del 1999, per An si verifica una gravissima perdita: muore Giuseppe Tatarella, vera anima della svolta culturale e politica del popolo missino.

8-L’impegno per i referendum con Mario Segni

Pochi mesi dopo il partito si impegna insieme con Mario Segni per promuovere il referendum abrogativo della quota proporzionale del mattarellum, che però non raggiunse il quorum per pochissimo. Sempre in quell’anno, si registra uno stop: alle europee la coalizione di An insieme con Segni, detta dell’Elefantino, conosce un insuccesso, mandando a Strasburgo solo 9 eurodeputati. In seguito alla sconfitta Fini rassegna le proprie dimissioni, ma praticamente tutto il partito lo convince a restare; cosa che Fini fa, ma a condizione di raccogliere di nuovo le firme per riproporre lo stesso referendum. Ma lo stop viene superato da un nuovo grande successo di Alleanza Nazionale: alle regionali del 2000 la Casa delle Libertà vince in otto regioni su quindici, le più importanti. Il risultato più significativo è quello di Francesco Storace nel Lazio. An si attesta su un 13 per cento complessivo. E il 13 maggio del 2001 Alleanza Nazionale torna al governo grazie ancora all’alleanza con Silvio Berlusconi. Si torna a governare il Paese per cinque anni e  in modo stabile.

9-Nel maggio 2001 si torna al governo

Fini diventa vice presidente del Consiglio, e i ministri di An sono quattro: Maurizio Gasparri, Altero Matteoli, Gianni Alemanno e Mirko Tremaglia: per la prima volta un ragazzo di Salò diviene ministro della Repubblica. Tre i vice ministri: Adolfo Urso, Mario Baldassarri e Ugo Martinat. In un clima euforico, nell’aprile del 2002, si svolge nell’ex rossa Bologna, ora amministrata dal centrodestra di Giorgio Guazzaloca, il secondo Congresso di Alleanza Nazionale, dal titolo “Vince la Patria, nasce l’Europa”. In quell’occasione Fini, acclamato ancora presidente, invita a guardare al futuro, al governo, ma conserva nel simbolo la fiamma del Msi. Da Bologna inoltre Fini annuncia una legge sull’immigrazione giusta e severa, che sarà varata nel luglio 2002 col nome di Bossi-Fini. Nel novembre del 2003 Fini si reca in Israele al Museo dell’Olocausto e compie un altro strappo col fascismo, giudicato positivamente dai media internazionali e anche, secondo i sondaggi, dallo stesso popolo di An. Si registra l’uscita dal partito di Alessandra Mussolini, che fonda Azione Sociale.

10-L’istituzione del Giorno del Ricordo

Nel 2004 c’è una delle iniziative più importanti della storia di An, l’approvazione della legge che istituisce il Giorno del Ricordo (per il 10 febbraio) in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, detta anche legge Menia dal nome del primo firmatario, il deputato triestino Roberto Menia. A giugno si svolgono le elezioni europee: An ottiene 9 eurodeputati. A novembre, dopo la designazione di Franco Frattini a Commissario europeo, Fini diventa ministro degli Esteri. La Russa, Matteoli e Alemanno vengono nominati vicepresidenti del partito. Ma alle regionali del 2005 la Casa delle Libertà arretra considerevolmente, vincendo solo in due regioni su 14, anche se An si mantiene tutto sommato stabile. Ma il 2005 non è un anno facile: Fini subisce dure critiche, anche dall’interno, per la sua posizione sui temi etici, inoltre due esponenti di spicco lasciano An, sia pure per motivi diversi: l’eurodeputato e vicesindaco di Catania Nello Musumeci e il senatore Publio Fiori. E a novembre, quando la Casa delle Libertà approva la cosiddetta devolution, anche Domenico Fisichella, contrario alla riforma sul federalismo, lascia.

11-La legge sulla droga Fini-Giovanardi

La fine della XIV legislatura è contraddistinta dalla legge sulla droga Fini-Giovanardi, del febbraio 2006. In vista delle elezioni politiche, si decide di mettere sul simbolo elettorale il nome di Fini in giallo sotto al logo di An. L’idea sembra giusta, An aumenta i voti, ma la coalizione di centrodestra perde le elezioni per soli 24mila voti alla Camera e per due seggi al Senato, dove invece aveva vinto in termini numerici. Dopo la sconfitta, che poi tale non fu, An iniziò una profonda riorganizzazione: Fini propone di portare il partito verso i Popolari europei, decisione confermata dall’assemblea del partito. Alla fine del 2006 si forma all’interno di An il think-tank FareFuturo, sul modello dei pensatoi conservatori americani e spagnoli. Il 2007 vede la fuoriuscita di Francesco Storace, che fonda la Destra, e di Daniela Santanchè, che vi aderisce pochi mesi dopo. Sempre in quell’anno, per vari motivi, si deteriorano i rapporti tra An e Forza Italia, malgrado sull’opposizione a Romano Prodi mostrino grande unità. Nel novembre 2007, senza consultare gli alleati, Berlusconi fonda il Partito del Popolo delle Libertà, duramente criticato da Fini. Tuttavia nel gennaio successivo il Senato sfiducia il governo Prodi, e il centrodestra si deve forzosamente riunire.

12-Verso il Popolo della Libertà

Così, l’8 febbraio Fini annuncia l’intenzione di costituire un nuovo soggetto insieme con Forza Italia e con altri partiti minori, il Popolo della Libertà, e il 16 la direzione nazionale di An approva all’unanimità la relazione del presidente, che aveva anche dichiarato che nel prossimo autunno An si sarebbe sciolta nel nuovo soggetto, sia pure per gradi. E ancora una volta il progetto è ben accolto dagli elettori: in aprile il Pdl prende il 38 per cento, ossia più della somma di Forza Italia e Alleanza Nazionale, la quale manda al parlamento 90 deputati e 48 senatori. La vittoria alle politiche è anche corroborata dalla conquista del Campidoglio con Gianni Alemanno, una vittoria, questa, davvero storica. Alleanza Nazionale torna ancora al governo, e ancora con quattro ministri: Altero Matteoli, Ignazio La Russa, Andrea Ronchi e Giorgia Meloni;  Maurizio Gasparri è capogruppo del Pdl alla Camera e Italo Bocchino vice presidente vicario del gruppo Pdl al Senato. Gianfranco Fini ottiene la prestigiosa carica di presidente della Camera. La reggenza di Alleanza Nazionale viene affidata a Ignazio La Russa, in quanto Fini come super partes non ritiene opportuno gestire il partito.

13-«Non siamo più figli di un dio minore…»

La Russa, dice Fini in assemblea nazionale, avrà il compito di traghettare il partito verso il Pdl. Lasciando la presidenza di An, Fini dice: «Non siamo più figli di un dio minore. È stata ricomposta una frattura. È stato superato un fossato». «La nascita del Pdl – ha aggiunto – è l’ultimo anello della strategia di Fiuggi. Alleanza nazionale è nata prima di Forza Italia. Il nucleo fondante di An del 1994 è quello del Pdl del 2008. Oggi l’ultimo atto non è celebrare l’affermazione elettorale, ma camminare perché si compia l’ultimo atto: per avere un grande punto di riferimento maggioritario del Paese. Per dare alla società italiana quei valori di cui ha bisogno». «Seppur in modo diverso – ha assicurato Fini – continuerò a lavorare con voi. An abbia fiducia di costruire il Pdl. Quel che abbiamo fatto è stato giusto ed utile al nostro popolo». Il 21 e 22 marzo 2009 alla Fiera di Roma si svolge il terzo e ultimo Congresso di An: “Nasce il partito degli italiani”. Il palco, suggestivo, è a forma di ponte. I congressisti approvano all’unanimità il passaggio al Pdl. Solo Roberto Menia critica la decisione, sostenendo che la confluenza sia avvenuta troppo in fretta. Da parte sua, Adriana Poli Bortone non partecipa ai lavori e fonda un suo partito, Io Sud. Il resto è storia dell’altro ieri: il Congresso decide di affidare l’eredità culturale, politica e patrimoniale, nome e simbolo inclusi, a una fondazione. È impossibile citare tutti gli esponenti politici che generosamente hanno fatto la storia di questo movimento, e le centinaia di migliaia di persone che si impegnarono per il successo di questo grande partito. Basti pensare che il picco degli iscritti lo ebbe nel 2004: erano oltre 250mila. Il numero massimo dei parlamentari invece lo si registrò ne 1994: 109 deputati, 48 senatori e 11 europarlamentari. Culturalmente  apoliticamente An fu sempre protagonista in quegli anni, intorno a essa gravitavano una serie di fondazioni e associazioni, tra cui il Movimento cristiano riformista, la Fondazione Nuova Italia e il già citato FareFuturo.

14-Caro Fascismo, ti scrivo…

Ci piace concludere questa breve e incompleta rievocazione ricordando un articolo che Pietrangelo Buttafuoco scrisse sul Secolo il 25 gennaio 1995, ossia il primo giorno dell’ultimo Congresso del Msi, intitolato Caro Fascismo, ti scrivo... Nel quale lo scrittore si lamenta che tutto è finito, le barricate, l’alternativa al sistema, le testimonianze, le celebrazioni… perché «improvvisamente la storia si è sdraiata sull’altro fianco e inquieti ne ascoltiamo in rinnovato affanno: un respiro, diciamo così, liberal-democratico. Fors e impoetico, ma terribilmente liberal-democratico». Dopo aver ricordato tra il serio e il faceto i “vecchi zii” con la faccia di Alfredo Rocco o di Carlo Costamagna o di Paolo Orano o di Filippo Tommaso Marinetti o di Gioacchino Volpe, Buttafuoco così conclude il suo appassionato intervento: «Caro Fascismo, forse adesso sei solo un libro. Un libro pieno di urla, di rumori, di risate. Un libro d’antiquariato novecentesco. Adesso sei compiuto. Vorrei dire liberato.» E ancora: «Caro Fascismo, arrivederci nelle pagine. E porti, portati nelle tue righe, i frastuoni più intensi, la meravigliosa confusione del bene e del male. Dice: la guerra continua. Ma Mussolini avrebbe detto: “Abbiate pazienza!”».

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