Stefano Recchioni, “er parà” morto per la lealtà verso i suoi fratelli

9 Gen 2015 17:46 - di Antonio Pannullo

recchioni inedita«Nell’età che ancora non conosce la vita, ho conosciuto la morte». È la frase che gli attivisti della sezione Tuscolano, in via Acca Larenzia, incisero su una delle tre targhe – quella dedicata a Stefano Recchioni – che nelle settimane successive alla strage apposero nei luoghi dove erano caduti i tre giovani missini. Due di queste targhe sono andate distrutte in attentati dinamitardi successivi; la terza, quella dedicata a Francesco Ciavatta, invece è ancora lì. Come è noto, Stefano Recchioni morì il 9 gennaio, per la gravità delle ferite riportate. E a differenza degli altri due, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, non era neanche della sezione Tuscolano. Lui frequentava, con orgoglio, la Colle Oppio, una delle prime sezioni missine ad aprire a Roma, subito dopo la guerra. Sezione “Istria e Dalmazia”, perché prima che diventasse sede politica nei suoi locali si rifugiarono molti profughi giuliani, istriani e dalmati, dei quali qualcuno successivamente divenne attivista della sezione. Stefano era un ragazzo entusiasta, dinamico, pieno di interessi: era il chitarrista degli Janus, uno dei primi gruppi alternativi indentitari della galassia missina, e anche uno dei più professionali. Ma a parte questo Stefano, che anche oggi è ricordato vividamente dai “vecchi” della Colle Oppio, non vedeva l’ora di partire per il servizio militare, di lì a pochi giorni: sarebbe andato nei paracadutisti, simbolo, nell’immaginario dei giovani di allora, di coraggio. Per questa era soprannominato “er parà”. Ma a Livorno, o Pisa, Stefano non ci arrivò mai. Si fermò la sera del 7 gennaio 1978 a via Acca Larenzia, dove era accorso, insieme con centinaia di altri giovani come lui, appena saputa la notizia del massacro. Era accorso per coraggio, generosità, lealtà, solidarietà con quelli che lui sentiva – per dirla con Enrico V – i suoi fratelli.

L’ultima foto prima della tragedia

L’ultima immagine di lui che abbiamo, e che pubblichiamo, è quella foto vicino all’allora segretario del Fronte della Gioventù Gianfranco Fini. In capo a una manciata di minuti da quello scatto, Fini si beccherà un lacrimogeno su una gamba, e Stefano un proiettile. La dinamica dell’episodio è stata raccontata dai protagonisti più volte, e non ci torneremo. Dopo diversi processi, l’unica verità processuale emersa è che non si sa chi abbia esploso il colpo mortale, ma è certo che detto colpo proveniva dalla parte opposta a quella dei giovani missini, ossia dalla parte dove in quel momento si trovavano i carabinieri che li stavano fronteggiando. È anche importante sottolineare il fatto che  Acca Larenzia non fu un fulmine a ciel sereno, ma una strage più che annunciata: il 28 dicembre, dieci giorni prima, era stato assassinato da – ancora oggi – ignoti, il missino Angelo Pistolesi al quartiere Portuense. Pistolesi aveva la “colpa” di essere insieme con Sandro Saccucci il giorno dei fatti di Sezze, ma ne era uscito completamente scagionato. Un altro militante che si trovava con loro fu vittima di un agguato pochi mesi dopo: sei colpi di pistola nella notte, di cui quattro a segno, l’operazione d’urgenza, e solo per miracolo il giovane si salvò. Tra l’altro, Ciavatta e il segretario Acca Larenzia andarono a via Statella, dove era stato assassinato Pistolesi, col motorino. Pioveva. Così andavano le cose a quei tempi.

Una strage annunciata da tempo

Perché strage annunciata? Perché, il 12 dicembre precedente, di mattina, dopo una serie inimmaginabile di aggressioni, intimidazioni, minacce ai ragazzi della sezione, persino arresti, avvenne un fatto che sarebbe tranquillamente potuto finire come il 7 gennaio: era l’anniversario di piazza Fontana, data in cui l’ultrasinistra si scatenava contro “i fascisti” e le loro sedi, come se il Msi c’entrasse qualcosa con quella bomba. Comunque, mentre era in corso una riunione nella sede del Tuscolano, presenti anche alcune ragazze, arrivò un commando di gruppettari di sinistra, muniti di mazzette, con le quali iniziarono a sfondare la porta che, per fortuna, era blindata, date le precedenti esperienze. I ragazzi riuscirono tutti a scappare dalla finestra e a disperdersi per le stradine circostanti. Il commando entrò nei locali, devastò tutto, e dette fuoco alla sede. Probabilmente i giovani missini non realizzarono che avrebbero potuto rimanere tutti uccisi, e così andarono avanti, ripulirono la sezione, trascorsero le feste di Natale imbiancando le pareti, fecero attività politica. Fino al 7 gennaio. Oggi alla sezione Colle Oppio è conservato un calco del volto di Stefano che la mamma, artista bravissima, preparò per realizzare il bronzo che è sulla tomba di Stefano al Verano. Sempre nella sezione c’è un quadro raffigurante Stefano come un angelo, sempre opera della mamma. Un’ultima cosa va ricordata: nella targa dedicata a Franco Bigonzetti, giovane studente di Medicina che veniva da Torpignattara, i suoi camerati avevano scritto: «Adesso che sono nel vento, non c’è odio per chi una sera mi uccise…».

 

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