Pure Gentiloni si è accorto che il terrorismo jihadista uccide

8 Gen 2015 10:23 - di Ginevra Sorrentino

Islam e strategia del terrore? «Bisogna intervenire con forza contro il Daesh, il cosiddetto Califfato dello Stato islamico», perché «il terrorismo è diventato uno Stato tra Siria e Iraq». La rivelazione tardiva arriva sulla trada di Raitre, precisamente ad Agorà, il talk show politico che ospita il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, illuminato da una verità chiara da tempo ai più. Ma c’è voluta la strage di Parigi compiuta al settimanale Charlie Hebdo, costata la vita a 12 tra giornalisti, collaboratori e agenti in servizio – uno dei quali spietatamente freddato mentre giaceva inerte, ferito, sul ciglio della strada – per riconoscerlo anche da un rappresentante democrat. Ma c’era davvero bisogno di queste vittime? Di sfregiare il cuore pulsante di una delle capitali d’Europa per arrivare ad ammettere che non esiste un Islam buono e uno cattivo: ma che siamo di fronte ad una realtà terroristica di matrice jihadista che non consente tregue e non ammette libertà di pensiero, di credo, di stampa.

L’“illuminazione” del ministro

E infatti, «siamo tutti coinvolti da questo tipo di minaccia», ha dovuto aggiungere a stretto giro il ministro Gentiloni in tv, riconoscendo che «anche se ha subito alcune sconfitte sul piano militare, lo stato islamico esercita una grossa forza di attrazione tanto che – ha quindi proseguito dal salotto mediatico di Raitre il titolare della Farnesina – «si sta combattendo il Daesh con una coalizione militare internazionale, cui partecipa anche l’Italia. Intervenire lì è assolutamente la prima cosa da fare, come si sta facendo, sostenendo quelli che combattono sul terreno, soprattutto i combattenti curdi che noi, come Italia, stiamo aiutando in mille modi», dal momento che i militari italiani «sono già sul terreno, senza funzioni di combattimento, ma per addestrare i combattenti curdi».

L’immancabile invito al politically correct

Troppa grazia, viene da pensare. E infatti, a breve arriva il ritornello stonato accordato in queste ore di commenti e opinioni a un eccidio che lascia senza parole: il monito di stampo rigorosamente politically correct a «evitare di fare confusione tra terrorismo e Islam o tra questo tipo di minaccia e gli immigrati»: un “invito” rivolto dai microfoni di Agorà dal ministro Gentiloni all’opinione pubblica, e concluso ecumenicamente con un cautelativo: «Quando leggo “Strage islamica” capisco la sintesi dei titoli, non voglio criticare nessuno, ma bisogna fare attenzione a non confondere». All’indomani di una mattanza che ha stravolto un Paese e decine di famiglie; che ha drammaticamente colpito la libertà di pesniero e di stampa spargendo sangue e terrore, direi che l’ultimo dei problemi dovrebbe essere il timore di offendere l’Islam e i suoi proseliti: anche in considerazione del fatto che proprio questa falsa accusa è stata la causa che ha armato il pungo dei due carnefici di origine franco-algerina in azione in uno spaventoso mercoledì di morte.

 

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