Poniamo fine all’anno zero della destra italiana. Ma senza errori

5 Dic 2014 18:23 - di Roberto Menia

È l’anno zero. Della politica dei partiti, dell’immagine di una casta che fatica a parlare alla gente, di istituzioni che paiono sempre più lontane dal mondo reale, di amministratori che twittano anziché andare per le strade o nelle zone industriali tristemente deserte. È soprattutto l’anno zero della destra italiana, chiamata a un nuovo bivio: tentare la scommessa della modernità o farsi risucchiare dal populismo di Salvini. Quando vent’anni fa fondammo Alleanza nazionale avevamo un sogno: quello di iniziare ad ampliare un raggio d’azione, ideologico, valoriale e programmatico.

Le condizioni sono completamente cambiate

Passaggio che, condotto con saggezza e meriti, portò la destra al governo del Paese dopo anni di emarginazione. Quando si giocò la carta del Pdl l’obiettivo era di unificare armonicamente mondi ed espressioni sotto una unica regia federativa, in chiave di un bipolarismo di caratura europeista. Se la prima partita siamo riusciti a vincerla a Fiuggi, la seconda purtroppo no (e non perché chi scrive votò contro). Oggi le condizioni sociali, economiche e soprattutto politiche sono completamente mutate e non è proponibile replicare mosse e strategie, semplicemente perché va alzato lo sguardo ancora più oltre. La scomposizione disarmonica dell’intero centrodestra italiano non può essere seguita da un cuscinetto di isolamento politico da un lato e da isterismi di pancia dall’altro. Altamente controproducente sarebbe, a mio avviso, proseguire su tratturi che rischiano di condurre tutti fuori meta. Ma va governata, partendo da un humus comune: il patrimonio valoriale, emozionale, di intenti che una comunità in cammino porta nel proprio dna. Con orgoglio ma anche con la consapevolezza di doverla modernizzare, per costruire il domani politico della Destra italiana.

Il nostro bagaglio non va disperso

Come predicava Kierkegaard, «la vita può essere capita solo all’indietro ma va vissuta in avanti». Significa che prima di rimetterci in cammino verso l’edificazione di una vera e strutturata alternativa al Pd renziano, occorre guardare all’indietro e portare nel nuovo millennio i talenti di ieri. Quel bagaglio si chiama Alleanza nazionale.
C’è una frase, bellissima, del Generale De Gaulle che spiega, forse meglio di mille interpretazioni o retroscena, il senso e il peso specifico di certe cose: «Ma lasciate che gli eventi si rivelino difficili, il danno incombente, lasciate che la salvezza generale richieda improvvisamente una iniziativa. Una sorta di onda di marea spingerà in primo piano l’uomo di carattere».
Intendo dire che proprio adesso, quando alla destra di Renzi si fatica a individuare una sintesi, una progettualità e una nuova strategia di medio e lungo respiro (non quella urlata buona, forse, per le successive elezioni), occorre uno scatto di reni, franco e sincero. Che azzeri astio e sviste, personalismi e vecchi pensieri; e punti con decisione ad una riunificazione politico-partitica del mondo di An: pulito, sociale, popolare e fatto di idee, possibilmente fresche e nuove. L’obiettivo, a scanso di equivoci, non deve essere la nascita di un altro movimento o la ramificazione sui territori (fatta ad hoc per le prossime regionali): ciò che a prescindere da organizzazione e logisitica va fatto ora, è animare una destra unitaria in cui chi crede nel merito, nel rispetto delle regole e nell’onorabilità possa trovare una casa e un tot di neuroni pronti a disegnare il Paese di domani.
Insomma, un’Alleanza veramente Nazionale per ricostruire un Paese sfilacciato e ancora una volta illuso da chi, da pochissimo alla sua guida, lo sta già tradendo.E se, per davvero, il ventennale di An fosse l’occasione?

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